di STEFANIA ROMITO
Il concetto di genialità, dopo essere stata elaborato per la prima volta in epoca romantica, è entrato a far parte del linguaggio moderno indicando la condizione di alcuni uomini dotati di un innato ed eccezionale talento creativo, capaci di opere che vanno oltre la comune prevedibilità tanto da superare spesso la comprensione dei contemporanei.
In ambito romantico l’incarnazione stessa del genio fu Michelangelo, la cui fortuna critica crebbe agli inizi dell’Ottocento al punto da rendere necessario un termine specifico (michelangiolismo) per indicare i tentativi di emularne la grandezza, la natura titanica, sovrumana e potente. Vi è un aspetto paradossale nella descrizione romantica del genio. Se questi è colui che non sottostà a nessuna disciplina precostituita e se l’essenza del suo lavoro creativo consiste nell’andare contro tutte le regole, è evidentemente impossibile fornire una definizione esaustiva della genialità che rimane così un concetto non descrivibile a livello teorico. Ciò non impedì ai pensatori dell’Ottocento di occuparsi comunque del problema. Infatti se la genialità è destinata a rimanere inspiegabile in sé, è però possibile individuare le particolarità personali nei grandi geni del passato.
Il Romanticismo evidenziò gli aspetti in comune fra genio e follia. Per propria natura entrambi sono un superamento del limite e indicano una condizione umana al di là degli steccati imposti dalla normalità, dal buon senso comune e dalle regole della logica. L’unica differenza fra queste due manifestazioni dello spirito riguarda soltanto l’esito sociale. Infatti l’opera del folle è originale, rivoluzionaria e deviante quanto quella del genio, ma rimane eccentrica e puramente soggettiva; non è, secondo il termine introdotto da Kant, “magistrale” ossia capace di attrarre imitatori e fondare una scuola.
Shopenhauer definì geniale la condizione del contemplatore puro delle idee capace di raggiungere uno stato di totale disinteresse verso il mondo e di scorgere quindi i valori universali nelle cose concrete, diventando, secondo la formula shopenhaueriana, un “puro occhio del mondo”. “Mentre per l’uomo comune il proprio patrimonio conoscitivo è la lanterna che illumina la strada, per l’uomo geniale è il Sole che rivela il mondo” affermò il filosofo aggiungendo però che questa condizione, poiché supera il principio di ragione, confina pericolosamente con la follia.