di Stefania Romito
Il XVII canto è dominato dalla figura di Gerione, anche se ci si congeda dal settimo cerchio con lo spettacolo dei violenti contro l’arte. Tutti innominati, questi usurai, e solo distinti dalle insegne riprodotte su borse appese al collo. Gerione ha un volto d’uomo benigno, un torso di leone variegato, un corpo di serpente con coda bifica armata di due pungiglioni da scorpione (in corrispondenza dei due tipi di frode, quella contro chi non si fida e quella contro chi si fida, dunque i peccati delle Malebolge e il tradimento).
Ma Gerione ha anche una sua funzione narrativa: è il mezzo fornito dal cielo affinchè i due poeti possano superare incolumi l’abisso che separa il mondo della violenza da quello della frode (il 7° dall’8° cerchio).
Rimessi i piedi a terra, lo spettacolo che si presenta agli occhi di Dante è quello di uno smisurato cono rovesciato con al centro un pozzo. Esso è distinto in dieci valli (XVIII) che sono le bolge, paragonabili ai fossati che cingono i castelli medievali, con ponti di roccia che le uniscono. I primi a comparire sono i ruffiani e i seduttori, divisi in due schiere. Ma lo stesso canto include, nella sua ultima parte, la seconda bolgia, quella degli adulatori, immersi in un bagno immondo di sterco umano. Qui si associano un personaggio moderno, conosciuto da Dande (il lucchese Alessio Interminelli) e uno antico, la meretrice ateniese Taide, protagonista dell’Eunuchus di Terenzio.
Segue, nel canto XIX, la terza bolgia: qui si ha l’incontro con i simoniaci, cioè coloro che a imitazione di Simone Mago, che volle vendere il posto fra gli Apostoli lasciato libero da Giuda, prostituiscono le cose sacre per avidità di guadagno. La superficie è tutta costellata di fori rotondi, dai quali sporgono le gambe dei dannati, con le piante dei piedi accese di fiamme. Una buca si distingue dalle altre per l’intensità del fuoco. Dante si china per parlare con il dannato, nella posizione che in terra hanno i confessori degli assassini, condannati alla pena della “propagginazione”, ficcati in una buca a testa in giù e indotti a ritardare la morte (per soffocamento mediante la terra con cui si colmava l’apertura) grazie all’espediente di prolungare la confessione.
Si allude a sicari che uccidono a pagamento. E’ stupenda la trovata di riservare in esclusiva una buca del genere ai papi simoniaci, assegnando a Dante laico il ruolo del confessore.
Scatta la geniale invenzione di questo Niccolò III Orsini indotto a meravigliarsi dell’arrivo all’ inferno, prima del tempo, di Bonifacio VIII. Dante, però, va ben oltre perché riesce a dannare, con l’Orsini già defunto nel 1280, non solo Bonifacio, ancora al mondo nell’anno fittizio del viaggio (muore infatti nel 1303), ma addirittura Clemente V, papa dal 1305 al 1314 e dunque ancora vivo, anche se di salute cagionevole, durante la stesura di questo canto. Ammirevole il coraggio di Dante nel suo profetizzare vicina la morte del terzo fra questi pontefici.
Bonifacio resterà in quella posizione un tempo minore di quello trascorso da Niccolò, perché presto lo sostituirà un pontefice ancora più spudorato di lui, facendoli sprofondare nelle fessure del terreno sottostante con tutti gli altri predecessori.
Per una volta è la voce di Dante viaggiatore che s’impenna in una fra le più fiere invettive antipapali, conclusa da una deprecazione contro la donazione di Costantino, che Dante con tutto il Medioevo, riteneva autentica.
Il canto XX con la quarta bolgia è tutto dedicato agli indovini, per i quali Dante ha escogitato un contrappasso per contrasto: essi hanno preteso in vita di vedere troppo avanti nel futuro e ora sono orribilmente stravolti, ma con il viso che guarda alle spalle, costretti a camminare all’indietro. Dante non può non piangere per l’umiliazione cui è sottoposta la figura umana, e Virgilio lo rimprovererà come di una debolezza.
Spetta a Virgilio personaggio il compito di presentare la serie degli indovini, anche perchè vi prevalgono gli antichi ma soprattutto perchè, venendo a parlare di Manto e dell’origione di Mantova, è indotto da Dante a modificare quanto aveva già scritto come autore, attribuendo a Ocno, figlio della maga, la fondazione della città. La cosa è certo singolare (Virgilio costretto, secoli dopo, a una palinodia).
Il canto XXI rappresenta una svolta narrativa, segnando il passaggio fra la 4° e la 5° bolgia, importante perchè x la seconda volta Dante ci dà il titolo del suo poema (la prima volta era stato alla fine del XVI canto, nel Purgatorio ne mancherà l’occasione, mentre nel Paradiso il titolo sarà mutato). Il paesaggio è ancora diverso: un lago di pece bollente, che fa venire in mente l’arsenale di Venezia. Appare un diavolo nero che regge sulle spalle un dannato e dalle sue parole si capisce che viene da Lucca, città ricca di barattieri, dove intende tornare. Affida il dannato ai diavoli custodi di questa bolgia, caratterizzati dal nome espressivo di Malebranche (vv 34). Se ne deduce che il malcapitato apparteneva alla più importante magistratura lucchese, soprattutto che la baratteria è il corrispettivo laico della simonia, se consiste nella possibilità di trasformare (grazie a quella che noi oggi chiamiamo bustarella) una decisione negativa in positiva. Che poi Dante autore sia qui meno serio del solito e giochi un poco coi suoi personaggi, si può spiegare con il fatto che proprio lui era stato mandato in esilio con il pretesto della baratteria.
Siamo di fronte a una giocosa scena culinaria, con il lucchese immerso dai Malebranche nella pece con le loro roncole come un pezzo di carne perchè si cuocia meglio, allo scorcio di un Dante terrorizzato che si nasconde dietro una roccia e un Virgilio che parlamenta con il comandante di quella schiera, di nome Malacoda, inducendolo a rassegnarsi alla volontà divina. Segue la farsa dei sottoposti (Scarmiglione in testa) che ancora si divertono a minacciare l’insolito viandante; infine, la maliziosa decisione di Malacoda di assegnare una scorta di dieci diavoli ai due poeti perchè li accompagnino a un possibile valico, dato che il ponte di roccia più vicino è crollato. Mirabile l’inventività onomastica di Dante nell’assegnare i nomi ai diavoli (Alichino, Calcabrina, Barbariccia, ecc.)
Dante è sconvolto da questa terribile compagnia per quanto ignaro del tranello che si nasconde dietro le parole di Malacoda. In realtà tutti i ponti che dalla pece conducono alla bolgia successiva sono caduti per il terremoto che accompagnò la morte di Cristo. Bastano a terrorizzarlo le smorfie minacciose e il digrignare dei denti dei diavoli. Né lo rallegra l’insolito segnale con cui Barbariccia avvia la partenza del drappello; anche se l’autore cu si sofferma sopra, non senza un sorriso, nel memorabile esordio del canto XXII, dove non si sa se ammirare di più il quadro di vita medievale (con le cavalcate, i tornei, ecc) o la metafora burlesca della cornamusa suonata da Barbariccia.
Lungo la strada, i Malebranche riescono a catturare un dannato che non fa in tempo a nascondersi sotto la superficie. Prima che quelli continuino a straziarlo con i loro arnesi, Virgilio riesce a saperne il nome e la storia: è Ciampolo di Navarra, cortigiano del re Tebaldo. Il dannato approfitta dell’occasione per avere un qualche vantaggio dai diavoli, che si allontanino un poco, promettendo in cambio di tradire i compagni, facendoli venire a tiro con un fischio. I diavoli sospettano l’inganno: ma Alichino accetta la sfida.
Ciampolo coglie al volo il momento opportuno e riesce a tuffarsi sparendo all vista, come un’anitra che sfugge al falco sott’acqua. Adirato per la beffa, Calcabrina assale il compagno: si azzuffano e cadono insieme nella pece. Dante e Virgilio approfittano della confusione per allontanarsi in silenzio.
La rissa alla quale Dante ha appena assistito gli fa venire in mente la favola di Esopo in cui i due litiganti sono messi d’accordo da un terzo personaggio, che nella favole è un nibbio, nella vicenda appena svoltasi, la pece; “il bollore funzionò subito da separatore”. Dante si rende conto che è imminente la vendetta dei Malebranche, in qualche modo beffati x loro colpa; non fa in tempo a comunicare i timori a Virgilio che li vede sopravvenire in volo e Virgilio riesce appena ad afferrarlo e a buttarsi giù per la scarpata, fino alla sesta bolgia dove i Malebranche non possono seguirli.