di Pierfranco Bruni
Pirandello come Borges gioca la propria vita su una scacchiera e la scacchiera non è l’esistenza. Ma la non esistenza, ovvero la sfida con la morte. Ovvero la sfida con il cavaliere. Il cavaliere, la spada, il viaggio.
Per Pirandello la vita è sempre un gioco, anche la lingua. Il linguaggio, il vocabolario. Per Borges la vita è un incastrare il gioco della vita stessa alla morte. Pirandello e Borges sono i due pilastri di una letteratura che sfida la morte per riconquistare la vita e vive la vita per allontanare la morte. La lingua in entrambi rappresenta un grande punto di riferimento.
Borges scrive:
“E il re cortese, il sinistro alfiere
la regina irriducibile, la rigida torre,
l’accorto pedone
sopra questo spazio bianco e nero
si cercano e si scelgono
in una muta accanita battaglia.
Non sanno che la mano precisa di un
giocatore
governa quel destino
non sanno che una legge ineluttabile
decide il loro prigioniero capriccio.
Ma anche il giocatore (Omar Khayyam lo
ricorda)
è prigioniero di un’altra scacchiera
di notti nere e di accecanti giorni.
Dio muove il giocatore
che muove il pezzo.
Ma quale dio, dietro Dio,
questa trama ordisce
di polvere e di tempo, di sogno e di agonia?”
Ecco, dunque come Pirandello riapre attraverso la verità espressa da Borges il discorso con l’Oriente. Anche la lingua è un gioco. Citando Omar Khayyam non fa altro che recuperare questa scacchiera del cavaliere della morte e del cammino.
Ma la parola che cos’è in Pirandello? Non è forse questo gioco infinito tra l’essere stato, il non essere e quello che sarà? Per Pirandello tutto è personaggio, ma tutto è personaggio perché tutto è parola.
Uno scrittore che ha attraversato le forme del dialetto vivendolo come modello etno-simbolico è stato Luigi Pirandello. I suoi studi sul dialetto e la parlata di Girgenti lo hanno portato ad approfondire i sistemi del linguaggio etnico nella cultura araba e non solo greca. Dai fonemi ad una più intrecciata articolazione semantica ha strutturato un intreccio che è ben leggibile nella cultura popolare espressa dai sui personaggi. In fondo Pirandello, superando la rigidità manzoniana, ha trasmesso alla letteratura una contaminazione che successivamente hanno seguito molti scrittori e tutti gli scrittori siciliani.
Anche Vitaliano Brancati sembra cresciuto alla scuola pirandelliana. Come Vittorini. Le pagine finali del suo “Conversazioni” sono il cuci e ricuci di una metafora arditamente pirandelliana.