di Carlo Zannetti
Quando guardo la città di notte, vedo quattro palazzi che dormono. Sono cinque piani di finestre buie, complessivamente ottanta appartamenti. Sono loro che costituiscono il mio unico orizzonte metropolitano. Quattro edifici illuminati dalla luna che, quando é presente come oggi, spadroneggia come un grande riflettore che illumina il palcoscenico deserto del mio panorama notturno. Tante famiglie e molte persone che vivono sole. E’ così che la mia fantasia vola, mi lascio alle spalle il giorno trascorso e quasi mi convinco di riuscire a captare i differenti desideri di tutti gli individui che in quel momento riposano nel buio delle loro stanze. Devo anche ammettere che certe notti ho la sensazione di percepire nell’aria stati d’animo diversi come la paura, la gioia, l’amore e l’indifferenza. Sono gli stessi impulsi che di giorno corrono sui binari dei nostri impegni quotidiani. Un vecchio proverbio recita: “Il giorno ha occhi, la notte ha orecchi”.
In questi momenti alcune domande mi assalgono.
Quante sono le persone che pur non conoscendo un mondo diverso da quello nel quale sono costrette a vivere, riescono ogni giorno ad avere la forza di credere in un futuro migliore?
Quante sono le persone che invece non chiedono più nulla al loro destino, perché troppo occupate a combattere con le difficoltà economiche, con la solitudine e con i conflitti legati alla tristezza del vivere in famiglie assenti e nel complesso deludenti.
L’assuefazione è l’abitudine contratta in modo definitivo. La vita per taluni è quell’attesa interminabile di un cambiamento che il più delle volte non arriva mai. E’ così che crescono quelle persone che anche quando sono costrette a sorridere non ci riescono, quelle che mostrano solo una fila di denti che non rivela nessun stato d’animo e che non riesce a nascondere nemmeno per un attimo quel velo di tristezza che traspare nei loro occhi.
Ma nonostante tutto, anche in certi contesti, ci sono persone che al di là di ogni immaginazione credono in un sogno, un sogno che riescono a vedere solo loro.
Tracy Chapman, la famosa cantautrice statunitense nacque in un quartiere operaio di Cleveland (Ohio) nel 1964 ed imparò a suonare molto bene alcuni strumenti musicali tra cui la chitarra. La sua chitarra non è ricoperta di vernice luccicante ma di sacrifici e di rinunce. La sua chitarra è acustica e suona bene per quello. Lei stabilì che la sua strada doveva essere quella più difficile, lei doveva rimanere se stessa ed impegnarsi nel sociale, ovvero quello stile fascinoso, che diventò un valore aggiunto per alcuni grandi della musica. Tracy era una ragazza molto determinata con un atteggiamento severo, unito ad un carattere umile e schivo. Lei si scatenò verso la fine degli anni ’80 e cominciò a vomitare con una voce profonda e sicura i testi delle sue canzoni, che erano pieni zeppi di parole che si rincorrevano veloci, che ricamavano disegni in bianco e nero, che descrivevano alcune storie di povertà e marginalità. Tutti ricordi di una vita trascorsa nelle periferie americane suonando per le strade e all’interno di piccoli locali della sua città natale e di Boston.
Nacquero così successi indimenticabili come “Talkin’ Bout a Revolution”,“Fast Car” e la dolcissima “The Promise” solo per citarne alcune.
La vita artistica di questa grande cantautrice si divide in due periodi, quello degli anni del suo esordio, nel 1988, con il primo album intitolato “Tracy Chapman” e quello del ritorno, dopo un assenza dalle scene, con l’album “New Beginning” del 1995.
Le parole e le sonorità cambiano.
“Fast Car” del 1988 recita un copione di povertà che inesorabile si ripete e descrive una vita ruvida. Una madre che lascia il marito disoccupato ed alcolista , una figlia che decide di abbandonare la scuola per occuparsi di suo padre. La figlia stessa decide poi di lasciare la città con il fidanzato nella speranza di essere più fortunata ma si ritrova a ripercorrere la vita di sua madre, con un marito disoccupato ed anche lui dedito all’alcol. E’ così che serve un auto molto veloce per ricominciare a scappare.
Poi trascorsero un po’ di anni e ci ritrovammo una nuova Tracy Chapman nel brano capolavoro dal titolo “The Promise” del 1995.
“Se stai aspettando me, allora io verrò per te. Anche se ho viaggiato molto, ho sempre tenuto un posto per te nel mio cuore. Se mi pensi, se ti manco ogni tanto, allora tornerò da te, ritornerò e riempirò quello spazio nel tuo cuore, ricordando il tuo tocco, il tuo bacio, il tuo caldo abbraccio. Io troverò quella mia strada per ritornare da te”. (The Promise – 1995).
Pura poesia, che può nascere solo all’interno di un grande cuore.
Un’altra artista, con un indiscutibile talento, che poco più che ventenne arrivò ad emozionare in modo così profondo il mondo e che scelse di offrire al suo pubblico un immagine così semplice , con la sua chitarra e con la sua voce.
Negli anni successivi al 1995 e fino al 2008, si aggiunsero alla sua produzione altri quattro album, nei quali l’artista sembra essere un po’ più confusa e meno convinta di quello stile così unico che l’aveva contraddistinta in modo così netto fin dall’inizio della sua carriera.
Tracy Chapman la ragazza dal sorriso triste sarà riuscita a dimenticare quel passato così difficile? La famosa cantautrice ci regalerà prima o poi un nuovo inizio (New Beginning) come quello del 1995?
D’altra parte nella mia stanza buia risuonano ancora le parole di “The promise” con la sua promessa di ritrovare la strada e di ritornare da noi per regalarci ancora un altro capolavoro.