di Stefania Romito
I testi delle canzoni, dal ’50 al ’70, sono stati condizionati anche dalla censura piuttosto opprimente che mirava a contrastare i contenuti giudicati troppo ammiccanti o scabrosi (oltraggiosi e scandalosi). A farne le spese sono stati diversi autori tra cui Domenico Modugno. Nella canzone “Vecchio frac” viene censurato il primo verso «Ad un attimo d’amore, che mai più ritornerà» viene fatto cambiare in «Ad un abito da sposa, primo ed ultimo suo amor», in quanto non era possibile citare, in una canzone, un attimo d’amore. “Resta cu’mme” (’57) viene censurata dalla RAI per il verso «Nun me ‘mporta d’o passato, nun me ‘mporta ‘e chi t’avuto…» che contrastava contro la morale cattolica riguardo il tema della verginità.
In altri casi la censura interveniva non tanto perché il testo offendeva la morale comune, ma anche per il modo con cui veniva interpretato il brano. E’ il caso di Jula de Palma che cantò nel ’59 “Tua”, la sua esibizione al Festival di Sanremo non venne trasmessa dalla RAI in quanto giudicata troppo lasciva.
A fine anni ’60 una decisa svolta in direzione di un nuovo tipo di linguaggio e di stile musicale l’ha apportata Luigi Tenco. Fu un vero e proprio pioniere della “canzone d’autore” e, come la maggior parte dei pionieri, la sua originalità fu confusa con la “trasgressività” e “anticonformismo”. Nel ’67 fu costretto a presentare a Sanremo un brano, “Ciao amore ciao”, totalmente trasformato nei contenuti. La tematica originale di stampo militarista venne sostituita da una molto avvertita in quel momento: quella dell’emigrazione.
Niente affatto contento del cambiamento, si fece convincere da Dalida a cantarla al Festival. L’esclusione di “Ciao amore ciao” dalla rosa dei finalisti determinò, con ogni probabilità, la tragica fine di Tenco.
Il periodo che va dalla fine degli anni ’60 all’inizio degli anni’70 vede grandi stravolgimenti storico-sociali. La contestazione giovanile determina una rottura con tutto ciò che è considerato conformismo, tradizione, valori. Tutto viene messo in discussione e si adottano altri punti di riferimento e modelli. Sono gli anni della rivoluzione studentesca, dell’emancipazione femminile, della rivoluzione sessuale, dell’uso sconsiderato di droghe e sostanze stupefacenti, e questo stato di fatto non può non riflettersi anche nelle espressioni artistiche e, in special modo, nella canzone, veicolo immediato delle trasformazioni socio-linguistiche.
Uno dei tanti testi che manifestava questo cambiamento lessicale è stato quello della canzone di Lucio Dalla dal titolo: “4 marzo 1943″. Un testo che fu sottoposto alle imposizioni della censura a causa della presenza di termini che offendevano la morale comune. Originariamente la canzone era intitolata “Gesù bambino” e conteneva i versi «Ancora adesso che bestemmio e bevo vino / per ladri e puttane mi chiamo Gesù bambino» e «Giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare», questi versi furono modificati in «Ancora adesso che gioco a carte e bevo vino / Per la gente del porto mi chiamo Gesù bambino» e «Giocava a far la mamma con il bimbo da fasciare». Da un punto di vista stilistico, con questa canzone Dalla infrange gli schemi della canzone popolare sanremese caratterizzata da introduzione-strofa-ritornello, per presentare piuttosto le caratteristiche di una ballata popolare, con quattro strofe uguali.
I cambiamenti epocali di quegli anni determinarono uno strappo con la tradizione. La tematica dell’amore, che continuava a regnare sovrana nei testi, abbandonava progressivamente il suo carattere romantico per avvicinarsi ad una fase più “trasgressiva” in conformità con uno spirito di libertà imperante duramente conquistato dalle nuove generazioni e orgogliosamente perseguito. Un chiaro esempio di questo importante cambiamento è rappresentato dai testi di alcuni gruppi musicali che si affermarono in quegli anni. “Bella da morire” degli Homo Sapiens, che vinse il Festival di Sanremo nel 1977, pone l’accento sulla libertà sessuale delle giovani generazioni. «A sedici anni non si perde il cuore, nemmeno quando provi a far l’amore. E sei bella da morire ragazzina tu, sul tuo seno da rubare io non gioco piu’». Sono passati soltanto poco più di 10 anni da quando Cigliola Cinquetti cantava “Non ho l’età”. L’amore ora sembra vissuto in maniera totalizzante anche dalle giovani generazione, ma l’aspetto che stupisce è che questo comportamento sembra essere tollerato, se non addirittura, legittimato.
Un altro testo di quel periodo, di un autore che si stava affermando e che avrebbe dominato il panorama musicale italiano, ossia Riccardo Cocciante, è “Bella senz’anima” (’74). Una canzone in cui emerge il ritratto di una donna padrona della propria sessualità. «E quando a letto lui ti chiederà di più, glielo concederai perché tu fai così. E adesso spogliati come sai fare tu», tutte espressioni che soltanto qualche anno prima non sarebbero state tollerate.
Una svolta decisiva in direzione di un linguaggio provocatorio l’ha avviata Rino Gaetano. Con la sua canzone “Gianna” viene pronunciata, per la prima volta a Sanremo, la parola “sesso”. Il destrutturalismo linguistico, volto alla creazione di un sofisticato nonsense, e l’intelligente ironia che contraddistinguono i suoi testi, rendono i suoi componimenti musicali creazioni di grande originalità espressiva.
In quello stesso periodo un altro grande provocatore della canzone italiana si stava affermando sempre più. Era il 1978 quando Renato Zero ottiene uno strepitoso successo con “Triangolo”. Un testo caratterizzato da un linguaggio vicino all’oralità dal contenuto ambiguo. Il testo racconta di un uomo che accetta un invito da parte di una donna. A casa della donna trova anche un altro uomo. Dapprima, si mostra scandalizzato dalla proposta indecente dell’esperienza del triangolo sessuale (“Ora spiegami, dai! / l’atteggiamento che dovrò adottare… / mentre io rischierei, / di trovarmi al buio fra le braccia lui… / … non è il mio tipo!!“), mentre sul finale della canzone si dimostra possibilista («..Si potrebbe vedere… si potrebbe inventare… si potrebbe rubare…») e finisce per ammettere «Il triangolo io lo rifarei… / Perché no? Lo rifarei!».