di Stefania Romito
La peste, proprio per il suo carattere estremo, è stato un argomento privilegiato nelle narrazioni e opere letterarie. Da Tucidide, il quale nel V secolo a.c descrive la peste di Atene, a Lucrezio che nel suo Dererum matura tratta questo argomento, fino ad arrivare ai Promessi sposi di Manzoni in cui la peste viene concepita come fenomeno provvidenziale, in grado di risolvere gli eventi.
Anche Boccaccio ne fa oggetto del suo Decameron. Già l’introduzione della prima giornata fa entrare il lettore nella luttuosa atmosfera della peste del 1348. Del resto, tutto il Medioevo è attraversato dalla descrizione della peste, la cui diffusione era favorita dalle pessime condizioni igieniche.
Boccaccio descrive la peste accentuando il suo carattere per far risultare ancora più bello e gradevole il resto del libro. L’effetto piacevole delle novelle risulta ingigantito proprio per il contrasto. Ogni scrittore si adegua a una sua personale visione del fenomeno e ne fa oggetto di scrittura letteraria.
Boccaccio sa di descrivere un libro di racconti. Un genere letterario nuovo, se si esclude il Novellino del 1200, contraddistinto da storielle anonime. Boccaccio dimostra come sia lecito trattare certi argomenti, tra cui la tematica amorosa, al fine di esaltare l’intelligenza e l’astuzia anche andando contro le regole della morale. Se all’inizio dell’opera tende a evidenziare la natura didattica dell’opera, che è quella di spiegare le regole di comportamento specialmente alle donne amanti, a metà del libro (nella sesta giornata) si difende dagli attacchi di chi era contro il genere. I punti centrali di questa apologia si riscontrano nella quarta giornata in cui Boccaccio racconta, in modo elegante, la novella delle papere. È la storia di un padre rimasto vedovo, costretto ad allevare il figlio in solitudine. Il ragazzo cresce isolato dalla realtà del mondo. Un giorno si reca con il padre a Firenze e vede alcune donne. Il figlio dice: “Padre, chi sono?” e il padre risponde: “Sono brutte cose” e il figlio replicò “A me non sembrano brutte cose, dimmi chi sono?” e il padre: “Sono papere” e il figlio “Perché non ne prendiamo qualcuna, così le posso beccare” e il padre dice: “Non le prendiamo perché non sai come si imbeccano”. Questo per dimostrare che l’attrazione dell’amore è un elemento insopprimibile. Fa parte della condizione umana e quindi è giusto parlarne.
Un altro messaggio importante ce lo tramanda attraverso la novella di Madonna Oretta. La donna è accompagnata, lungo un viaggio disagevole a cavallo, da un cavaliere che le racconta delle storie per rendere piacevole il viaggio. Ma racconta male e Madonna Oretta gli disse: “Il vostro cavallo ha un duro trotto, fareste meglio a stare zitto”. Come a dire: “Raccontate così male che aumentate il disagio di questo viaggio”. Boccaccio intendeva sottolineare che per raccontare ci vuole anche la qualità di esposizione.
Ma è nella novella “Lisabetta da Messina” (inserita nella quarta giornata, quella degli amori infelici) che Boccaccio intende rimarcare la dedizione sentimentale, l’amore assoluto che non conosce ostacoli mettendo in luce il contrasto tra gli aspetti sinceri, le regole della convenienza sociale, degli affari e della mercanzia.
Lisabetta ama Lorenzo, il gestore di un magazzino che appartiene ai tre fratelli di Lisabetta. Quando i fratelli scoprono la relazione segreta, pensano che questo li possa danneggiare, da un punto di vista sociale, ed eseguono il delitto d’onore. Ma Lorenzo appare in sogno a Lisabetta e le rivela dove è sepolto. La ragazza, accompagnata da un’amica, scopre il cadavere del suo amato e ne taglia la testa per nasconderla in un vaso dove semina del basilico che, bagnato dalle sue lacrime, cresce rigoglioso. Lei si consuma nel pianto fino a quando i fratelli le sottraggono il vaso. A quel punto, venendole meno anche questa consolazione, la ragazza si uccide divenendo l’eroina di una canzone popolare che segna il contrasto tra l’amore assoluto e la fredda ideologia dei fratelli che perseguitano quel sentimento d’amore conducendo la ragazza alla follia.