di Stefania Romito
Carissimi amici del gruppo, sono onorata di potervi presentare Maurizio Ganzaroli, un artista poliedrico di notevole talento che esplora le varie discipline artistiche offrendo spunti di grande originalità e innovazione.
Ciao Maurizio, tu sei pittore, scrittore, poeta, autore di musiche d’avanguardia, sceneggiatore, insomma un artista a tutto tondo. Come pittore hai esposto in diverse mostre personali e collettive a Milano, Roma, e varie città del Veneto e dell’Emilia Romagna e anche all’estero. Sei presente in tutti i cataloghi d’arte dell’Accademia delle Belle Arti di Alessandria Santa Sara e a partire dal 2015 a oggi i tuoi quadri sono presenti in varie collezioni private e pinacoteche. Cosa trovi di comune, sempre se ne riscontri affinità, tra l’arte pittorica e la scrittura?
Intanto ti aggiungo che alla mia lista di mostre ce n’è una importantissima che si svolge proprio in questi giorni, che è a Palazzo Zenobio dove c’è il padiglione Armenia, vincitore della biennale di architettura dello scorso anno. In questo meraviglioso palazzo ci sono diverse stanze e in una di queste c’è una mia opera esposta fino a novembre, cioè fino alla fine della Biennale di Venezia. La mostra L’ARTE AI TEMPI DELLA 57 BIENNALE DI VENEZIA curata dal critico d’arte Giorgio Grasso, dentro a Palazzo Zenobio è stata la più visitata ed apprezzata in assoluto di tutta la biennale e sinceramente sapere che una mia opera è stata scelta ed esposta lì mi emoziona un po’, tanto che in effetti non ci ho creduto neppure io, finchè non l’ho vista appesa!
Per giungere poi alla tua domanda, le cose che trovo di affinità, sono il fatto che per un senso in effetti non ce ne sono, ovvero sono due modi di esprimermi che per me sono differenti, ma se proprio vogliamo trovare un link di congiunzione, allora si potrebbe dire che quando scrivo la scena è come se la girassi per un film, o la dipingessi e dunque descrivo ciò che vedo davanti ai miei occhi e non cerco di descrivere ciò che potrebbe essere. Questo fa sì che le descrizioni delle scene dei miei racconti non siano complete o troppo ricche di particolari, per poter dare quindi la possibilità al lettore di aggiungere con la propria fantasia ciò che manca e far diventare sua quella scena specifica, fino a diventare parte di quel che legge.
So che hai anche avuto la fortuna di conoscere De Chirico e altri pittori famosi, non è così?
Oh si! Devi sapere che nel lontano 1975 mio padre, che era il custode del Palazzo dei Diamanti, prendeva un misero stipendio che gli veniva versato ogni 10 giorni circa, poiché ricopriva diversi ruoli, per poter poi avere la speranza di essere assunto definitivamente, e così quando venne il mio compleanno mi chiese se volevo la torta o il regalo ed io, essendo un bambino, non ci pensai tanto e scelsi la torta. Non sapevo, però, che quella di mio padre era una sorta di sorpresa in quanto poi quando ricevette un’altra parte di stipendio, mi regalò una scatola di acquerelli cinesi (allora molto preziosi e rari da trovare) e due pennelli di pelo di tasso. Quasi ci fossimo accordati in qualche modo, io avevo tenuto il piatto che faceva da fondo alla torta, che allora era in cartone, con l’intenzione poi di disegnarlo con le matite e i pastelli di mio fratello più grande, ma vedendo quei colori li presi e cominciai subito a dipingere il tramonto che avevo ammirato la sera prima dal cortile del palazzo. Misi poi questo piatto dipinto ad asciugare sul davanzale e poco dopo sentì dei passi rimbombanti nel porticato. Si deve pensare che io vivevo in quello che ora è il deposito zaini e che ha finestre molto grandi e alte da terra, che per un bambino sembrano quasi irraggiungibili, infatti avevo usato una sedia per arrampicarmici e mettervi il piatto/quadro. Ad un certo punto vidi l’ombra che mi sembrava gigantesca di qualcuno che si era fermato proprio davanti alla finestra ma di cui non vedevo il volto, sentì poi che chiamava mio padre ed infine che parlava con lui, ma senza capire cosa volesse o chi fosse. Così mio padre, dopo qualche minuto, venne in casa e mi disse che il grande Giorgio De Chirico voleva comprare il mio quadro e che insisteva per averlo e per pagarlo. Io non ero molto dell’idea, poiché era il mio primo quadro e non lo volevo dare al primo che me lo chiedeva, ma alla fine accettai e lui me lo pagò 7500 lire, che erano l’equivalente di circa un quarto dello stipendio di mio padre, con cui ci comprò le scarpe per me e mio fratello. Ma la cosa non finì lì, poiché non solo De Chirico mi dedicò una sua litografia che tenni per molti anni, ma che poi purtroppo venne rubata più di trent’anni dopo, ma poi per tutta la settimana che si trattenne in città, ogni mattina alle 10 veniva a chiamarmi e voleva che passassi con lui la mattinata fino all’ora di pranzo, dove tra una spiegazione e l’altra su perché avesse messo un’ombra lì piuttosto che altrove nella tela, o perché quel colore ecc. ogni giorno si ripeteva una scena divertente, per noi, ma forse un po’ meno per i visitatori. Una mattina ad esempio arrivammo zitti zitti fin dietro le spalle di una donna minuta, che stava osservando incantata un suo quadro, credo Le Muse Inquietanti, e presa dalla bellezza dell’immagine, esclamò: ma è un sogno! Allorché Giorgio De Chirico, con una voce roca e profonda, disse: Io non sogno mai! La signora senza girarsi divenne ancora più piccola e scivolò nella stanza adiacente senza proferire parola. Poi una volta che fummo sicuri che nessuno ci vedeva ci mettemmo entrambi a ridere. La scena si ripetè ogni giorno, con qualche variante, ma sostanzialmente era sempre quella. Il motivo della finta ira del Maestro fu che per tanti anni la metafisica che lui dipingeva ed il surrealismo come ad esempio quello di Salvador Dalì, che a suo tempo conobbi di sfuggita, erano state confuse, come se si trattasse della stessa tecnica e filosofia, e questo a De Chirico faceva inquietare, poiché le regole che governano queste due tecniche sono fondamentalmente diverse, anche se ad un osservatore comune possono apparire simili o addirittura uguali. La metafisica lascia che gli oggetti ed i soggetti dei quadri rimangano ciò che sono nella realtà, cambiando magari il contesto attorno a loro, mentre nel surrealismo le medesime cose prendono una vita diversa, cambiano forma ed aspetto mutando in qualcosa di diverso dalla loro natura.
Esordisci nel panorama editoriale come poeta nel 1992 con il libro “Gli occhi dell’amore”, un lavoro poetico che ti ha dato subito delle bellissime soddisfazioni, infatti hai ricevuto una menzione di merito al premio internazionale “Antonia Pozzi” e hai ottenuto il Primo Premio “Monte Pagano”. Ce ne vuoi parlare?
Il libro di cui parli in realtà al tempo fu un secondo premio che ricevetti su oltre mille iscritti al concorso, mentre i premi come la menzione di merito “Antonia Pozzi” ed il primo premio di “Monte Pagano”, invece mi sono stati dati per la poesia dedicata a mio padre “IL VENTO”, che oltre a ricevere la targa d’argento, è stata poi incisa su una grande piastrella di ceramica e cementata al muro di una casa del borgo, dando così la possibilità a chiunque vada a visitare quei luoghi, di poter leggere i miei versi.
Nel 1999 pubblichi la tua prima raccolta di racconti dal titolo “Nebbie d’altri mondi”. Il racconto intitolato “L’ultimo uomo” viene inserito nella raccolta di circa 40 scrittori dal titolo “Schegge d’utopia”. Parlaci di questa tua esperienza. Si tratta di un racconto di fantascienza?
L’ULTIMO UOMO è un racconto di fantascienza alla Asimov per intenderci, che è stato recensito da diversi giornali on-line, blogs e siti, ma anche giornali cartacei come il Sole 24 Ore, e L’Espresso, nonché la famosa rivista FUTURE SHOCK che si occupa di fantascienza e collegata alla collana fantascientifica Urania. Sinceramente è stato molto bello ricevere così attenzione per un racconto solo, in mezzo ad una collana che raccoglieva così tanti a scrittori ed opere notevoli. Ma oltre a questo, anche un altro racconto singolo che ha partecipato al concorso “99 Parole Per Un Racconto” e cioè IL SEME DELL’UNIVERSO è stato presentato nel 1992 alla fiera del libro di Torino.
Tu sei inventore di un nuovo stile narrativo denominato “gothic Punk”. Di cosa si tratta esattamente?
Si tratta dell’unione di due generi letterari: il gotico ed il punk. Il gotico, o Gothic, riguarda lo stile di scrittura dell’ottocento, o le atmosfere di quei libri o i soggetti di quei libri, come Vampiri, licantropi, ecc. Mentre il punk è riferito al futuro, che non per forza deve essere un futuro lontano centinaia di anni, ma anche qualcosa di più vicino a noi, ma che rispetto alla nostra epoca è il futuro che deve ancora venire. Il primo racconto che raccoglieva queste due forme e che è stato il capostipite, si trattava di un racconto di quattro pagine che in un periodo dal 2009 al 2011 si sviluppò in arti visive, classiche su tela ma anche digital art, poi in poesia, in videopoesia, in musica. Mancava soltanto una rappresentazione teatrale o performativa. Venne presentato durante una mostra che feci nel 2009 e che si chiamava Mostra Ad Episodi, in quanto ogni settimana, leggevo in pubblico una pagina del racconto accompagnato da tre opere visive, che sommandosi alle altre alla fine in un mese divennero una mostra di 12 quadri di digital art. Le tele vennero in seguito così come altre opere digitali.
Hai appena pubblicato una seconda raccolta di racconti dal titolo “Mondi diversi” edita da Asino Rosso Edizioni. Racconti che tendono a fondere le atmosfere gotiche della letteratura ottocentesca a quelle futuristiche e fantascientifiche. Cosa hanno in comune questi racconti? Qual è il loro comune denominatore?
La fantascienza e l’horror sono i miei tipi di lettura preferita, anche se le centinaia di libri che ho letto e che leggo c’è di tutto. Questi due filoni, non credo che abbiano un vero e proprio comune denominatore, ma se proprio vogliamo trovarci qualcosa che li accomuna c’è il fatto che io non adopero mostri nei miei racconti, poiché ritengo che l’essere umano sia già abbastanza mostruoso da solo. Esploro quindi la psiche dell’essere umano, ciò che fa diventare estremamente perfida una persona ritenuta da tutti come mansueta, oppure il contrario, cosa potrebbe desiderare una persona che avesse la possibilità di esaudire ogni suo desiderio, le paure, le fobie e le ossessioni che governano le persone e spesso che le spingono ad agire in maniere inaspettate e non sempre negative. La psicologia infatti è sempre stata la mia materia preferita tanto che nel 2014 ho conseguito tre diplomi: uno in psicologia dei casi di crimini violenti, psicologia del serial killer e comunicazione non verbale.
Qual è il messaggio che intendi veicolare con la tua arte, visiva, scritta, poetica e teatrale? Perché so che hai realizzato anche diversi lavori per il teatro, non è così?
Le mie performance non sono teatrali in senso stretto, ma sono comunque molto fisiche e a volte non hanno neppure avuto dei dialoghi specifici, ma solo una frase finale o magari seguivano un mio racconto come sceneggiatura. Il messaggio comunque che vorrei dare è quello che non importa cosa dice la gente, di quello che uno fa per esprimersi, bisogna continuare comunque per la strada che si sente propria e perseverare. Poiché anche se si crede di dare poco o niente alla bellezza del mondo, bisogna pensare che senza di noi quella tal cosa non esiterebbe. Se io dipingo un quadro, non importa come sia, io l’ho preso dall’oblio e l’ho portato in questa realtà e senza il mio aiuto, quel quadro non sarebbe mai nato. Bisogna pensare che ogni espressione artistica, se non viene espressa e resa reale, in effetti non esiste e dunque nessuno potrebbe goderne, nessuno potrebbe pensare o avere idee su quella cosa. È come gettare un sasso in uno stagno, dove le onde concentriche si allargano sempre di più, fino raggiungere l’altra sponda, che se non ci fosse, continuerebbero forse all’infinito. Dobbiamo anche pensare di avere una responsabilità noi artisti, che è quella di donare bellezza al mondo, di donare una piccola parte di noi, ogni volta che portiamo a compimento un’opera, e che senza di noi il genere umano sarebbe senz’altro più povero di spirito. Ti racconto un ultimo aneddoto? Nel 1976, una signora entra nella galleria del Palazzo Dei Diamanti ed invece di prendere un biglietto per la mostra pretende di avere una “merda d’artista “ di Piero Manzoni. Gli venne detto da mio padre che faceva anche il guardasala ed allestitore oltre ad essere custode, che costavano tantissimo, 200 mila lire. La signora insistette per averla e tirò fuori i soldi senza scomporsi, poi quando le venne data, estrasse dalla borsa un apriscatole e cominciò ad aprirla. Quando alla fine anche solo dall’olezzo insopportabile che usciva si poteva intuire il contenuto della scatoletta, lei non contenta la aprì per bene, per poi esclamare schifata: Ma c’è davvero della merda qui! E mio padre rispose: che cosa pensava? Della cioccolata? Forse la signora schifata adesso si mangerebbe le mani pensando di aver rovinato un’opera che è stata valutata oltre 70 mila euro, e in alcuni casi, essendo tutte numerate, quelle con i numeri più bassi cioè più vicino all’uno, sono state vendute anche per più di cento mila euro.
Grazie Maurizio, per averci proiettati nel mondo dell’arte e per averci sorpreso con i tuoi sorprendenti racconti e aneddoti. La tua simpatia è pari al tuo talento artistico e noi tutti ti auguriamo di continuare a veicolare bellezza con la tua arte affinchè tutti noi ne possiamo trarre un grande arricchimento. Tantissimi in bocca al lupo per tutto!
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