di STEFANIA ROMITO
Ciao Emmanuele, il tuo grande amore per la scrittura è nato sui banchi di scuola quando frequentavi le elementari, non è così?
Sì, ho avuto fin da piccolo la passione per la scrittura e già quando ero bambino mi è capitato più volte di provare a fare dei piccoli lavori. Avevo già allora molte idee che ho messo per iscritto, anche se ovviamente si tratta di lavori fatti da un bambino, ma ricordo che già allora la mia maestra di italiano delle elementari diceva che, secondo lei, sarei diventato uno scrittore o un giornalista.
Tutto ciò che scrivevi lo custodivi gelosamente nel cassetto, decidendo di non condividerlo con altri. Posso chiederti il motivo?
La ragione è che non scrivevo per fare qualcosa che piacesse agli altri. Per me la scrittura è sempre stata una cosa molto intima, un mezzo che permette di sfogare le tante idee, così come i tanti pensieri, che possono passare per la testa a chiunque nell’arco di una giornata. Per questa ragione non sentivo tanto il bisogno di condividere i risultati di quanto scrivevo, quanto piuttosto di scrivere.
Successivamente hai frequentato il Liceo Classico dove hai imparato ad amare la letteratura greca. Quali valori, a tuo parere, sono in grado di veicolare ancora oggi la letteratura greca e i suoi miti?
Sono sempre stato un lettore accanito e, di contro, durante il liceo ero un pessimo traduttore di latino e greco. Mi avvicinai particolarmente alla letteratura, inizialmente, per riparare alle lacune e ottenere buoni voti in queste due materie, ma me ne innamorai subito. Credo che la letteratura, la tragedia e anche la commedia greca, e di riflesso anche quella latina, abbiano avuto la capacità unica di percorrere i temi fondamentali sia della società che dell’animo umano. Non è un caso se buona parte dei classici di quell’epoca hanno finito per essere ripresi da altri autori, penso ad esempio alla metamorfosi di Kafka, o di essere richiamate persino nel descrivere patologie psicologiche, come il complesso di Edipo.
È in questo periodo che ti avvicini a due autori che significheranno molto nel tuo percorso letterario: Stephen King e Lovecraft. Cosa ti appassiona maggiormente di questi due scrittori?
Stephen King credo sia un autore che, oltre ad avere un’immaginazione molto fervida che gli ha permesso di costruire storie uniche, è capace di farci entrare nell’animo dei suoi personaggi. Ricordo di un suo racconto in cui il protagonista restava intrappolato in un bagno chimico, di quelli che si trovano nei cantieri: tutta la storia raccontava soltanto il suo tentativo di fuggire. Un’idea semplicissima, ma che diventa coinvolgente non tanto grazie a quello che accade ma soprattutto grazie al vissuto della persona, che King riesce a farci ripercorrere alla perfezione, quasi stesse accadendo a noi. Allo stesso modo Lovecraft nei suoi racconti è in grado di raccontarci in maniera sorprendente un’emozione fondamentale come la paura. Le sue storie dell’orrore non spaventano per via delle strane creature o dei pericoli che i protagonisti si trovano ad affrontare: quelle tendono ad apparire quasi sempre come un climax finale, mentre ciò che conta davvero è il percorso, è quello a creare l’orrore, ma per ottenere questo risultato bisogna riuscire a far calare il lettore nei panni del protagonista, fargli sentire quello che lui prova.
Sarà grazie a un docente universitario che ritornerai a riscoprirai l’amore per la scrittura, ce ne vuoi parlare?
Sì, arrivato al terzo anno di università mi trovai ad affrontare un esame di scrittura creativa per il quale il docente ci chiese di scrivere un racconto. Ritrovarmi di nuovo a scrivere in maniera diciamo obbligata, visto che dovevo laurearmi, riuscì a farmi ricordare perché farlo era così bello e liberatorio.
È stato un gioco di ruolo a ispirare la stesura del tuo romanzo di esordio, non è così?
Sono da sempre un appassionato di giochi di ruolo e spesso, provandone diversi nel corso degli anni, finisce che i giocatori più accaniti pensino di crearne uno loro per giocarci insieme. Così iniziai a immaginare questo mondo di fantasia e mi resi conto di avere bisogno di una storia, di qualcosa che lo rendesse più vivo, tangibile. Questa storia, poi, mi ha preso così tanto da diventare un libro.
“I Dimenticati”, il tuo libro di esordio, di recente pubblicazione, è un romanzo fantasy ambientato in una grande isola sulla quale incombe una terribile maledizione: “la maledizione dei sognatori”. Senza rivelare troppo della trama, ci vuoi spiegare in che cosa consiste questa maledizione?
Gli abitanti di Saphenet sono colpiti da una strana piaga legata, appunto, ai loro sogni: in questi, iniziano a vedere una donna che indica loro una strada, un percorso che dovrebbero seguire. Questi sogni diventano sempre più lunghi e le persone colpite iniziano a dormire sempre di più sino a quando, alla fine, non spariscono nel nulla, senza lasciare nessuna traccia. Il risultato di questa misteriosa maledizione, le cui origini sono ignote, è che intere città diventano vuote e anche solo incontrare un altro essere umano diventa quasi un’impresa.
Rodrick, Il protagonista, è rimasto solo a vivere in questo piccolo villaggio. Un compagno immaginario allevia la sua solitudine. Di tanto in tanto gli appare assumendo le sembianze di un suo caro amico scomparso. Che ruolo ha Edor, questo compagno immaginario, nell’intera vicenda?
Edor è fondamentale per accompagnare la crescita di Rodrick come persona. Immaginate di rimanere soli per anni, di non avere nessuno a cui poter rivolgere la parola anche solo per un grazie, o un saluto veloce; Rodrick ha bisogno di Edor perché è rimasto il suo unico compagno e, nel tempo, diventa una sorta di riflesso di quella parte interiore con la quale Rodrick deve confrontarsi, come facciamo tutti noi, per compiere le sue scelte.
Rodrick, invogliato dall’amico immaginario, intraprende un viaggio all’inseguimento delle orme di Re Soth. Un viaggio che avrà dei risvolti imprevedibili e sconcertanti. Ci vuoi accennare brevemente qualcosa?
Il mondo dei “Dimenticati” è un mondo abbandonato: quasi ogni luogo conserva soltanto un eco lontano di ciò che è stato secoli prima. La storia, l’ingegno o anche i grandi eroi del passato: nessuno ricorda più queste cose. In questo mondo nessuno sa se e per quanto riuscirà a sopravvivere e chiunque sia rimasto, finisce per dover accettare compromessi impensabili.
Quali sono i messaggi esistenziali che tendi a mettere in evidenza in questo tuo romanzo?
Potremmo dire che una parte del romanzo sottolinei il conflitto interiore che vive Rodrick ma che, in realtà, ognuno di noi vive quando deve prendere una decisione, fare una scelta difficile. Un altro punto fondamentale, riguarda invece il fatto che a Saphenet, così come nel mondo reale, nessuno è mai completamente quello che sembra: non c’è spazio per dicotomie come eroi e cattivi, bianco o nero; esistono decine di sfumature, di ragioni anche comprensibili per quasi qualsiasi gesto. Eppure, nonostante questo, gli uomini tendono sempre a dividere tutto in modo netto, in un mondo fatto di buoni e cattivi.
Per i tuoi prossimi progetti letterari, prevedi di cambiare genere oppure di proseguire con il genere fantasy?
Avrei molti genere che mi piacerebbe esplorare, ma credo che il mondo di Saphenet abbia molto da offrire. Quando lo creato, ho pensato alla sua storia nel complesso e le vicende che riguardano Rodrick ne sono solo un pezzo. Potrebbero anche avere un seguito, così come potrei viaggiare altrove, in regioni più remote dell’isola, terre che Rodrick non ha mai visto dove altre persone vivono la loro vita. Mi piacerebbe scrivere una serie di racconti, che possa approfondire il più possibile questo mondo e farne conoscere i dettagli più lontani e, forse, interessanti.
Dove è possibile acquistare il vostro libro?
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Emmanuele, ti ringraziamo per questa appassionante intervista e soprattutto per averci ricordato che la fantasia riveste un ruolo molto importante nelle nostre esistenze perché è proprio volando sulle magiche ali della fantasia che riusciamo a conoscere meglio noi stessi e a godere in pieno delle meraviglie che la vita è in grado di offrirci. Viva la fantasia, viva la vita!