di STEFANIA ROMITO
Il davanzale dell’anima custodisce parole pensate e mai pronunciate nel tracciato esistenziale di uno scrittore che, attraverso la finestra sul mare e la luna dietro la palma del suo giardino, ricerca il senso delle radici nell’ineffabile viaggio chiamato “mistero”. L’erranza di un uomo racchiuso nella dimensione di figlio amato e protetto da quell’invincibile sentimento che neppure l’inesorabile passaggio del tempo è in grado di ridurre d’intensità.
Le anime di un padre e di una madre, la cui presenza è palpabile in ogni soffio di vita, vivi più della vita stessa, assumono la plasticità dei ricordi divenendo da forme pensate a presenze pensanti. Pensanti e dialoganti con lo spirito errante di un figlio che cattura il loro riflesso nei riverberi di un mare che segna l’infinito sulle onde della memoria. La casa d’infanzia diviene Itaca, quel focolare domestico che assume connotazione sacrale nella dimensione del mito. L’isola nella quale rifugiarsi dopo aver attraversato il gorgo muto del labirinto, in cui rinvenire armonia e verità. Come barchette di carta, che scivolano lente nella piscina della fontana di pietra, così le nebbie si allontanano dall’orizzonte lasciando spazio agli azzurri di un destino che colora i ricordi donando vita a chi più non è, ma che sempre sarà.
Pierfranco Bruni in questo libro, in cui racconta il suo personale percorso esistenziale nella forma del romanzo intimistico, si analizza e si studia durante una illuminante partita a scacchi con se stesso dove il re e la regina rappresentano due figure imprescindibili nel disegno di una vita. Figure costanti che continuano a guidarlo nello sfogliare dei giorni, insegnandogli a osservare la luna con la pazienza e la saggezza delle tartarughe. Perché è solo comprendendo il mistero che si può catturare il senso del proprio orizzonte nell’indefinibile viaggio che si fa “viaggio indefinibile”.
“La palma del mio giardino agita il vento del nuovo giorno”.