di STEFANIA ROMITO
Nel Gennaio del 1875 una carrozza percorre strade impossibili alla vigilia di un ballottaggio elettorale nel collegio di Lacedonia. Il candidato al Parlamento Francesco De Sanctis, già ministro della Pubblica Istruzione nei governi Cavour e Ricasoli, è il viaggiatore che cerca nelle terre dell’Alta Irpinia, tra la Valle dell’Ofanto e il Vulture, di spiegare quanto sia necessario calare l’ideale nel reale, superare i mali e le esasperazioni dei ragionalismi, distruggere i partiti personali e spingere le comunità e la gente onesta fuori dal fatalismo, verso un altro grado di educazione politica.
Francesco De Sanctis si immerge nel sottosuolo dell’esistenza convito di recitare un ruolo significativo nella estenuante battaglia civile contro l’immatura coscienza unitaria di quelle classi sociali che sono alla guida delle provincie del Mezzogiorno e mal comprendono le garanzie e l’organizzazione culturale, amministrativa e giuridica del nuovo Stato liberale, convinti che i personalismi possano ancora sopravvivere nelle istituzioni parlamentari di un’Italia democratica.
Il bonario purista di un tempo non intende apparire come uno sradicato che non riesce a reinserirsi rispetto alla sua terra e il suo rientro scaturisce anche da un personale bisogno di riconciliazione con la memoria. Il suo irrompere in questo scenario causò molte preoccupazioni tra i suoi astuti e interessati sostenitori. Anche chi aveva favorito il suo ritorno sembrava preoccupato dall’ingovernabilità e dall’autorevolezza morale del professore. Il suo desiderio di convertire il mondo moderno in mondo “nostro” si rivela una necessaria utopia di fronte all’asfissiante cappa di conformismo e di immobilismo.
I motivi ideali della sua Storia della letteratura italiana si ritrovano nelle pagine de Il Viaggio, racconto di un’impresa impossibile negli impenetrabili “sistemi” del Sud, avversi ad ogni forma di trasformazione in senso democratico e refrattari all’idea di progresso. Nella storia e nei comportamenti dei proprietari e del ceto civile dell’Alta Irpinia si materializzano le contraddizioni del Sud, le sue debolezze e i ritardi del suo sviluppo economico-sociale, ma anche le passioni e gli ideali della nuova cultura politica. Figura metaforica è quella del telegrafista di Bisaccia Fabio Rollo, reduce della battaglia di Custoza del 1866. Descritto con parole tendenti all’eroico e cariche di simpatia umana, Rollo era stato uno dei più convinti sostenitori di Soldi. Questo personaggio, molto enfatizzato dal nostro viaggiatore, sembra possedere i requisiti validi per poter diventare l’emblema della riscossa morale delle terre irpine: amor di patria, coerenza, coraggio, virtù civili, indignazione, carattere.
Francesco De Sanctis traccia un formidabile quadro della nuova classe dirigente della nuova Italia, ma non svolge considerazioni sulla storia della provincia e della sua amministrazione durante il primo Ottocento. Le vicende sociali sono affrontate nell’ambito del presente storico, mentre i ricordi della giovinezza si antepongono ad una possibile ricostruzione dei decenni precedenti.
Il clero era ufficialmente fuori dalla vita politica, ma in realtà sia gli agenti di Capozzi, sia i simpatizzanti di Soldi e del suo padrino Nicotera, avevano dovuto fare i conti con preti, vescovi, teologi. Tutti impegnati a controllare il voto e a orientarlo nel corso delle campagne elettorali. De Sanctis, lettore dei Commentarii di Giulio Cesare, dei viaggi del capitano Cook, dei libri di Sterne e di De Amicis, trasfigura la storia e dialoga con in suoi fantasmi in un racconto ricco di ironia, di parodiche rappresentazioni e di raffinato umorismo, senza privarla di un attualissimo messaggio di moralità pubblica e di salda educazione borghese. La sua è una pittura umoristica tesa ad indagare le contraddizioni esistenti tra la realtà e gli ideali, tra la miseria morale e la passione civile, tra la serietà e la viltà.