Buongiorno amici, per lo spazio dedicato ai membri di Ophelia’s friends sono felice di presentarvi una poetessa e scrittrice di alto valore letterario. Il suo nome è Giuliana Guzzon 🙂
Ciao Giuliana, ti ringrazio moltissimo per essere entrata a far parte del gruppo di Ophelia’s friends e di averci consentito di approfondire la tua conoscenza. Nella tua biografia ho letto che da bambina hai avuto la fortuna di vivere a stretto contatto con la natura. E’ stato più l’aver vissuto in un ambiente bucolico, oppure la vicinanza di tuo nonno a far nascere in te una grande passione per la letteratura?
Grazie a te per avermi ospitata. Questo mi ha permesso di conoscerti e di sentirmi a mio agio per l’intervista. L’ambiente in cui sono cresciuta era rurale. La natura era bucolica e la stretta vicinanza con gli animali e la loro vita ha reso la mia infanzia speciale. Mio nonno materno si è occupato della mia educazione e mi ha seguita nelle tappe fondamentali della vita. Lo ricordo con molto affetto mentre mi leggeva alla sera, soprattutto d’inverno davanti al camino, i testi di mitologia greca al posto delle comuni fiabe che si raccontano solitamente ad una bimba di sette anni. La letteratura faceva parte del mio percorso formativo ed è certamente grazie a lui se ho iniziato e continuato a scrivere. La mitologia greca ha un suo fascino indiscusso e ai miei occhi è apparsa subito come una grande fantastica avventura. Il passaggio dalla letteratura greca ai classici del ‘200/300, fino all’800, è stato molto breve. A nove anni scrivevo i primi versi, avevo bisogno di sentire mio un mondo che ancora non mi apparteneva. Poi crescendo, tutti gli elementi esterni alla organizzazione della struttura verbale hanno via via acquisito importanza, per poi prendere spazio nella mia espressione e fantasia individuale.
Hai iniziato a scrivere i tuoi primi pensieri poetici, come ami definirli tu, fin da bambina. La tua fantasia già iniziava a spiccare il volo. Mi hai emozionato quando mi hai raccontato che ti piaceva immaginare che quei rumori che sentivi in soffitta, mentre scrivevi di notte, non fossero topi bensì fantasmi irrequieti o angeli della povertà che stringevano in pugno le tue ore insonni. Che ricordo hai di quel periodo?
Bellissimo! Io ero una specie di cucciolo randagio, adoravo chiunque mi dimostrava affetto, vero o falso che fosse. Ero piccola, la sera ci si sedeva all’aperto, i grandi sulle sedie, noi bambini sullo scalino di casa e qualcuno raccontava qualcosa che assumeva subito la connotazione della fiaba. Sotto il tremolio delle stelle tutto era possibile e tutto gradevole, anche le storie di fantasmi. Dormire su un materasso fatto con le foglie delle pannocchie mi divertiva, mi giravo e rigiravo e quello scricchiolio, quell’odore di campagna che veniva su, mi dava un piacere immenso. D’inverno sulla neve cadevo, ruzzolavo, scendevo con lo slittino. Avevo le guance rosse, gli occhi luminosi, il nasino che colava e quando rientravo in casa bastava un bagno caldo per ridarmi lo siprito e la voglia che non mi faceva mai stare ferma.
Successivamente dal Piemonte ti sei trasferita nella Svizzera francese, infatti il francese è la tua seconda lingua. E dopo aver frequentato la scuola superiore di commercio, ti sei iscritta a una scuola d’arte per imparare a progettare e costruire vetrate del ‘400. Trovo tutto ciò estremamente affascinante, ce ne vuoi parlare?
Il mio secondo amore; il vetro. Rimasi affascinata proprio sotto le feste natalizie, a casa di una compagna di scuola. Era stata in Germania e aveva acquistato dei vetri augurali, tutti colorati e dipinti. La tradizione vuole che siano di buon augurio se appesi alle finestre. La luce rifrangendo i ninnoli proietta tutti i colori all’interno della casa. Ne rimasi affascinata, con il desiderio di imparare la tecnica per poterli realizzare. Con la ricerca capitai su un bando europeo abbinato al Liceo Artistico della città di Novara. L’accettazione era a numero chiuso. Si trattava di una scuola per diventare maestro d’arte per la lavorazione delle vetrate in piombo con la tecnica del ‘400. Io dipingevo già da tempo, ma qui si trattava di tagliare, piombare, saldare e stuccare. Entrai nella selezione e così iniziai anche questo percorso. Ho conseguito il riconoscimento e per anni ho avuto il mio laboratorio realizzando anche pezzi importanti, non solo per privati, ma anche per la Chiesa, soprattutto nella zona di Firenze con i restauri delle vetrate antiche. Poi, il mondo del lavoro e del turismo mi ha fatta cambiare strada.
E ora veniamo alla tua carriera letteraria. Hai esordito come poetessa. Nel 1992 hai pubblicato una poesia dal titolo «Alla luna» nell’antologia «Strani fiori neri». Mi hai confessato di amare Foscolo, il fatto che tu abbia scelto questo titolo vuole essere una sorta di omaggio a lui?
Chiarisco per maggiore comprensione. Nel 1992 ho partecipato ad un concorso letterario che prevedeva una borsa di studio. Non mi aspettavo di essere citata da tutti i giornali del Biellese. Il premio era alla memoria di «Alberto Gatti». Ogni anno i genitori finanziavano questo concorso alla ricorrenza della morte del figlio suicida a solo 16 anni, esattamente il mese di giugno. Il ragazzo era un poeta, le sue poesie oscure e pessimistiche. In questa occasione il concorso aveva il titolo di una sua raccolta «Strani fiori neri», quindi il tema dei testi doveva rispecchiarla. Una delle frasi che caratterizzano Alberto Gatti è, «Dissi un giorno, ed ero bambino – sarò poeta!- Ho vinto una battaglia, ma ho perso la vita!». Alberto Gatti ha composto una silloge, intitolata FELIX, vincendo il premio speciale GIUSEPPE UNGARETTI nel 1988. Dopo la sua morte. Nella giuria del concorso era il padre che sceglieva i testi più affini al figlio. La mia poesia intitolata «ALLA LUNA» si è aggiudicata il primo premio assoluto con menzione. È in omaggio a questo ragazzo che ho composto la lirica. Pubblicata successivamente nell’antologia del premio e letta al Teatro Regio di Torino durante una ricorrenza in memoria di Alberto Gatti.
In seguito hai partecipato a diversi concorsi letterari classificandoti sempre ai primi posti fino ad arrivare al 2013 quando hai esordito nel panorama editoriale con la silloge “Una rosa nera e la seta d’un verso per mantello”. Successivamente hai pubblicato con David and Matthaus la silloge “Sussulta Delirante il mio Intimo di Donna” e recentemente è uscito il romanzo thriller “Il cacciatore di libellule”. Ci vuoi raccontare cos’è che ti ha spinta a passare dalla poesia al romanzo thriller?
Sono sempre stata molto legata alla letteratura classica e per molto tempo della mia crescita educativa non ho letto altro. Con l’adolescenza ho iniziato a provare curiosità per gli autori soprattutto americani e il genere che più aveva destato la mia curiosità era il romanzo thriller. La primissima scrittrice entrata nel mio cuore fu Patricia Cornwell; letto il primo, acquistai tutti i suoi libri. Poi iniziai a cercare altri autori dello stesso genere e, via via la mia libreria è arrivata (contando anche la classica) a oltre 5.860 volumi. Solo negli ultimi anni ho deciso di redigere a mia volta un romanzo thriller, per una sfida lanciata da un mio amico che aveva letto tutti i miei testi precedenti; poesie e brevi racconti. Mi ha costretta. Facendomi promettere di scrivere e terminare un romanzo e siccome sono ambiziosa e mi piacciono le sfide, ho accettato ed eccomi qui con «Il cacciatore di libellule».
E ora parliamo di questo tuo straordinario romanzo thriller.
Tutto ha inizio con il rinvenimento di alcuni reperti in uno scavo effettuato in Africa. Infatti l’intera vicenda è ambientata parte in Italia, a Firenze, e parte in Kenya. Il tuo protagonista, Gabriel Larsen, è un antropologo estremamente solerte e ligio al dovere che si trova coinvolto in una vicenda dai risvolti sconcertanti. Mi ricorda molto Robert Langdon di Dan Brown. Ci vuoi parlare di Larsen?
Mi nasce un sorriso. Non avrei mai affiancato Langdon a Larsen. Questa è la prova, come diceva mio nonno, «tante teste, tante idee». L’idea di inserire la figura di Gabriel Larsen è stata naturale. Dovendo ambientare in Africa e per l’esattezza in Kenya la maggior parte della storia, quale personaggio poteva collocarsi meglio di un antropologo? Ho dovuto fare delle ricerche e studio sulla materia prima di parlarne, di delinearne una carriera, un metodo di lavoro e renderlo importante e necessario. Gabriel rappresenta una parte della mia personalità e del rigore con cui sono cresciuta.
L’altro importante protagonista è il serial killer, questo pazzo criminale che firma tutti i suoi omicidi con un macabro dettaglio: inserendo delle ali di libellule negli occhi delle sue vittime. Non posso, naturalmente, chiederti quale sia il significato di questo orrendo gesto poichè presumo che ciò rappresenti uno dei punti cardine del romanzo, tuttavia mi piacerebbe sapere come è nata nella tua mente questa raccapricciante idea?
Ho dovuto leggere e assorbire un po’ di materiale, scartando tutti i modus operandi conosciuti, nella ricerca di qualcosa di originale e traumatico . Si deve conoscere per non scrivere delle sciocchezze. Il romanzo giallo o thriller è molto particolare, si tratta di un genere nel quale ci sono dei vincoli molto stretti da rispettare. Ci vuole suspense, rimbalzi, false piste, degli indizi, un colpevole, un investigatore e la sorpresa deve arrivare all’ultimo momento. Tutti elementi necessari ma difficili da mettere su carta.
Ritengo che per scandagliare e descrivere la psicologia perversa di questo personaggio ti sia dovuta inevitabilmente immedesimare in lui. Quali strumenti hai utilizzato, se ce ne sono, per riuscire in questo arduo compito?
La difficoltà necessaria è stata immergere me stessa in una mentalità malata, senza anima e calarmi nei panni di uno psicopatico. Una delle parti interessanti l’ho dedicata allo studio del profilo, alla ricerca delle psicosi e patologie e vi garantisco che ce ne sono davvero molte ed ognuna ha la sua caratteristica e delinea un diverso comportamento. Se mi chiedessero: e ora che ne farai di questo killer? La mia risposta sarebbe che, probabilmente, consiglierei il mio libro successivo. Il mio romanzo si presenta come una struttura, eppure, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, io non prevedo mai cosa succede in seguito. I personaggi crescono e cambiano, proprio come le persone reali se messi di fronte a situazioni estreme. Ogni elemento mette in moto il mio processo mentale rivolto a cercare nella materialità la situazione che voglio creare. Mi preoccupo dell’emozione del lettore e cerco di renderla forte, adrenalinica: le emozioni devono essere vive! Scrivere una trama, non è solo immaginarla, bisogna saperla far vivere a chi legge. Deve essere astuta.
Ringrazio Stefania e tutti quanti i lettori.
E noi ringraziamo, te, Giuliana per averci permesso di entrare nel tuo meraviglioso mondo fatto di poesia, di ambientazioni bucoliche ma anche di interessanti escursioni negli abissi più profondi e perversi della psiche umana.
Giuliana Guzzon, un’autrice dotata di un formidabile talento. Un’autrice con la “A” maiuscola 🙂
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