di Stefania Romito
Cari amici di Ophelia, sono felice di presentarvi una bravissima scrittrice del gruppo che è anche una nota cantante lirica. Il suo nome è Daniela Lojarro 🙂
Ciao Daniela, è un vero onore per me averti nel mio gruppo letterario “Ophelia’s friends”. Oltre ad essere una scrittrice, sei anche una bravissima cantante lirica molto apprezzata sia in Italia che all’estero. Hai inciso parecchi CD e diverse opere da te interpretate sono state riprese da radio e televisione, come Ermione di Rossini e La Sonnambula di Bellini. Inoltre alcuni brani da te incisi sono stati inseriti come Soundtrack in diversi film. Ci vuoi parlare di questa tua affascinante attività?
La mia attività come cantante lirica è affascinante e anche molto dura: esattamente come nell’ambito della scrittura, l’affermazione è frutto di impegno costante ed è accompagnata da lotte, invidie, gelosie, cattiverie. Sono nata e vissuta immersa nella musica. A 5 anni fui folgorata dalla Turandot di G. Puccini e poi dal Macbeth di G. Verdi. Adoravo la gelida Principessa che sottopone i suoi pretendenti alle tre prove; oppure la scena del sonnambulismo in cui Lady Macbeth cerca di cancellare le immaginarie macchie di sangue dalle sue mani. Ho imparato a leggere sui libretti d’opera adottandone pure il linguaggio con grande disperazione della mia famiglia che si trovava a dover spiegare che le “bianche larve” (definizione tratta dall’Aida di G. Verdi e riferita ai candidi abiti dei sacerdoti di Osiride) erano per me i gamberi! A 19 anni ho lasciato Torino per Roma dove, dopo aver vinto un concorso per giovani cantanti lirici, ho seguito un corso di arte scenica con Franca Valeri. A 21 ho vinto due prestigiosi concorsi internazionali e a 22 ho debuttato nel ruolo di Gilda nel Rigoletto di G. Verdi. Una serata magica di cui conservo immagini come flash. C’erano così tante persone, così tanta tensione e, soprattutto, mi pareva di schiattare per la tremenda afa della pianura Padana. Indelebile, però, nella memoria, lo sguardo del Maestro Bergonzi mentre posava la sua mano sulla mia spalla prima che salissi sul palcoscenico, montato di fronte alla statua di G. Verdi: un’occhiata e un gesto che per me furono come una sorta di “iniziazione”, come se, pur nella mia inesperienza e immaturità, fossi stata comunque accettata in una cerchia. Subito dopo, sono approdata a Berlino per un Gala di Opera: l’immensa e magica sala dei Berliner Philharmoniker era gremita di pubblico che, dopo alcuni secondi di silenzio al termine della mia esibizione, scoppiò in frenetici applausi e richieste di bis. Il primo violino dell’orchestra si alzò per farmi i complimenti. Rientrai nelle quinte e vennero a riprendermi per buttarmi in palcoscenico a ringraziare … Non dimentico nemmeno l’invidia dei colleghi che avevano ricevuto meno applausi pur essendo già più celebri di me. Fortunatamente la mia famiglia prima e mio marito poi mi sono sempre stati accanto e mi hanno sempre sostenuta in ogni scelta anche in quelle difficili come dire di no a certi compromessi. Sono stati anche i miei critici più accaniti: tanto quanto gioivano per un successo altrettanto erano severi nel ricordarmi che dovevo studiare con impegno per mantenere quel livello oppure implacabile nel farmi notare che la recita non era stata al livello delle altre per questa o quella ragione.
Però, se guardo ai traguardi raggiunti (per esempio i brani incisi e inseriti in film come The Departed di Scorsese o Il Giovane Toscanini di Zeffirelli) e alla varietà dei ruoli che ho potuto affrontare nel corso di 25 anni di carriera avendo sempre come obbiettivo la qualità, sono contenta della scelte compiute. Ho iniziato con ruoli di giovani donne innamorate (Rosina del Barbiere di Siviglia di Rossini), pronte a sacrificarsi per l’Amore come Violetta della Traviata di Verdi; tradite (Gilda in Rigoletto), disperate per l’amante lontano come Giulietta dei Capuleti e Montecchi di Bellini, pazze come Lucia di Lammermoor nell’opera omonima di Donizetti, sonnambule per dolore come Amina della Sonnambula di Bellini; ho proseguito con ruoli più drammatici come la regina Anna Bolena che affronta il patibolo, la furente Donna Anna che cerca vendetta per il padre ucciso da Don Giovanni, la sensuale Nedda che tradisce il marito e sfida la morte per raggiungere l’amante. Nessuna di loro si accosta alla mia personalità ma mi hanno permesso di confrontarmi con aspetti e sfaccettature dell’animo umano, di approfondirne i lati oscuri, di sondare le capacità del cuore e le reazioni di fronte ai grandi temi che agitano il nostro “essere uomo”. Ho messo a disposizione del compositore e delle sue creature la mia voce per dar corpo al moto dell’animo che sta alla base del suo pensiero creativo e trasmetterlo a chi ascolta. Ovviamente, poi, le emozioni personali, la nostra vita riaffiora anche in palcoscenico e si infiltra, si nasconde nelle pieghe dei personaggi anche a nostra insaputa!
Oltre a ciò, ti dedichi anche all’insegnamento del canto e alla musico-terapia come terapista in audio-fonologia. Ci vuoi spiegare esattamente di cosa si tratta?
Questo metodo parte dalle intuizioni avute negli anni ’50 da Alfred Tomatis. Questo medico francese ma di origine italiana fu tra i primi a ri-scoprire l’importanza della stimolazione sonora per il nostro cervello. Alcune sue intuizioni tratte dalla pratica clinica sono state poi confermate dalla neurologia, altre sono cadute: il metodo si è quindi sviluppato e arricchito. Il nostro cervello elabora le informazioni che le “orecchie” gli inviano costantemente perfino quando dormiamo: nel corso di questa elaborazione, che avviene in millisecondi, possono crearsi dei blocchi che ritardano la risposta se non addirittura la fermano (non mi dilungo sulle cause possibili di questi blocchi!). Questo succede a livello della lingua e non solo musicale: Perché? Perché vocali e consonanti sono suoni come le note, costituiti da frequenze, onde, che si misurano in Hertz. Per eliminare o diminuire questo blocco, io invio della musica al soggetto che la sente in cuffia: lo stimolo sonoro è però elaborato. Di un brano musicale, o suoni naturali come onde, pioggia, canto di uccelli, imposto le frequenze che desidero che il soggetto ascolti tenendo presente le considerazioni della psico-acustica. Le basse frequenze stimolano il corpo e il movimento; le frequenze medie aiutano la concentrazione; le frequenze acute stimolano la creatività e riducono lo stress e i sintomi che lo accompagnano.
Inoltre, le frequenze scelte sono percepite dal soggetto con uno scarto tra la conduzione ossea (cioè come le nostre ossa vibrando trasmettono il suono al cervello) e quella aerea (cioè come il suono facendo vibrare il timpano, l’orecchio medio e interno arriva poi al cervello): questa differenza, calcolata in millisecondi e che io posso cambiare, non è percepita a livello cosciente. Il nostro cervello, invece, la registra a nostra insaputa, ed è costretto a reagire, ad attivarsi svegliando la nostra attenzione portandoci a “allungare le orecchie”. Questo effetto è paragonabile alla Mismatch negativity (MMN) studiata nell’ambito delle neuroscienze cognitive e della psicologia: chi fosse interessato può leggere anche su Wikipedia una buona spiegazione. Il metodo si rivolge a persone con difficoltà o ritardo di sviluppo della lingua, per esempio dislessici; difficoltà a leggere, a scrivere, a concentrarsi, a memorizzare. L’orecchio, però, è anche il centro dell’equilibrio: la stimolazione serve pure per la coordinazione o problemi di equilibrio frequenti in bambini ma pure in adulti o seniores. Da non sottovalutare il sollievo in caso di tinnitus, il fastidioso fischio di cui ancora oggi non si conoscono le cause e non esistono rimedi efficaci al 100%. In campo musicale, la stimolazione serve a migliorare l’intonazione, la musicalità, l’espressività. La terapia “dell’ascolto” è accompagnata da esercizi di respirazione, di motricità, di concentrazione, ripetizione di lettere, sillabe, parole inventate per stimolare l’attenzione e destare la fantasia, per i bambini da esercizi legati alle difficoltà scolastiche, per creare strutture di apprendimento; per i cantanti da esercizi specifici per la risonanza, la vibrazione, la bellezza del suono. È una rivalutazione della centralità dell’ascolto per noi tutti. L’ascolto è tendersi volontariamente verso l’altro e, al tempo stesso, accogliere in se stessi le informazioni acustiche ricevute ed elaborarle.
Hai esordito nel mondo della narrativa con un romanzo Fantasy intitolato “Fahryon”, la prima parte della saga «Il Suono Sacro di Arjiam», edito da GDS. Parlaci della tua predilezione per il genere Fantasy. Da dove nasce questa passione?
Direi che la passione per il fantasy nasce dalla mia passione per i miti, l’esoterismo, l’archeologia. Le mie letture spaziano da Marion Zimmer Bradley a Réné Guénon, da Robert Graves a Milcea Eliade … . Il fantasy è un genere letterario per me affascinante in cui gli elementi dominanti sono il soprannaturale, l’allegoria, il simbolo e il surreale: mi riferisco ovviamente al fantasy classico che è quello che amo leggere e non alle commistioni che sono nate in questi ultimi anni con vampiri o streghe o stimoli new age di qualsivoglia tipo sull’onda dell’effimero successo di determinate mode. Il fantasy si è sviluppato nella seconda metà dell’800 ma vanta illustri antenati: basta pensare al bagaglio di miti e leggende di ogni popolo, riconducibile a eventi sovrannaturali o ad atti eroici impossibili, allegorie della lotta tra bene e male. Considero il fantasy classico, come del resto l’espressione artistica in generale, non solo una lettura d’evasione o una fuga dalla realtà. L’arte è un bisogno e ha, da sempre, un effetto catartico: il lettore o lo spettatore, identificandosi con il protagonista, partecipa delle sue emozioni, dei suoi dolori, delle sue gioie, vivendo le sue avventure, le sue scoperte, i momenti tristi e lieti traendone spunti di riflessione su se stesso e sulla società, maturando; attraverso di essa si possono combattere battaglie, trasmettere conoscenze, emozioni, spingere alla riflessione. Questo è il valore del fantasy come di ogni storia, ogni mito, ogni favola: tratta dell’umanità e dei suoi problemi universali, offre esempi di soluzione delle difficoltà in un linguaggio che arriva direttamente oltre ogni barriera logica.
Di recente hai dato alle stampe la seconda parte della saga intitolata “Il risveglio di Fahryon”. Senza rivelarci troppo della trama, ci vuoi raccontare che cosa avviene ai due protagonisti?
Il primo episodio della saga si è concluso con la violenta separazione di Fahryon e Uszrany: una misteriosamente scomparsa sotto gli occhi increduli del suo stesso compagno; l’altro, al culmine della disperazione per l’abbandono, prigioniero del suo più acerrimo nemico e, soprattutto, in balia dei suoi tormentosi ricordi. Dall’oscuro pozzo in cui i due giovani sono precipitati, riescono ad emergere: Fahryon con l’aiuto di Vehltur, un misterioso Magh che l’ha condotta nelle Grotte dei Draghi; Uszrany grazie al sostegno del comandante Pakudd, suo ex-superiore. Entrambi poco per volta, tra passi avanti e cadute, risalgono verso la luce e, prova dopo prova, comprendono la loro missione e si preparano ad affrontarla.
Fahryon e Uszrany compiono entrambi un percorso esistenziale molto importante in questo secondo romanzo, ce ne vuoi parlare?
Prima ho accennato ai diversi piani di lettura possibili del romanzo. Per quanto riguarda il percorso esistenziale che lo si chiami formazione o iniziazione per me si tratta di una sorta di “allegoria” della maturazione cui ognuno di noi va incontro uscendo dai sogni dell’adolescenza per entrare nel mondo degli “adulti”: basta usare la fantasia e la storia può essere trasportata in qualsiasi epoca. Socrate invitava i suoi discepoli a conoscere se stessi. Oggi, è molto più di moda impicciarsi degli affari altrui piuttosto che intraprendere un’immersione introspettiva, che potrebbe svelarci chi realmente siamo. Siamo subissati da inviti a praticare meditazione, a frequentare corsi di introspezione per cercare se stessi o per essere “felici”, a cimentarci con ogni genere di filosofia per star bene con noi stessi o addirittura s’iniziano infinite terapie psicologiche o pseudo tali … In realtà, non si vive questa ricerca interiore ma la si confina a determinati orari come se fosse uno sport. La ricerca implica uno sforzo, anche delle sconfitte e non accetta orari. Paura, superficialità, distacco e scissione da una visione unitaria di Uomo e Natura: l’uomo moderno non fa che allontanarsi dal Centro e nascondersi. I nostri progenitori affrontavano prove per entrare nell’età adulta; noi evitiamo addirittura di crescere e temiamo addirittura la vecchiaia: cerchiamo in tutti i modi di mantenerci nello stato infantile o adolescenziale appagando subito ogni necessità materiale e psicologica. I media hanno addirittura ridotto la morte a spettacolo se non a gioco: gli esempi di giovani che non distinguono più la vita da un video-gioco o da un film non si contano più. Ecco, mi piacerebbe che le vicende dei miei personaggi invitassero alla riflessione, spingessero a chiudere i due occhi e ad aprire quel terzo che sta sulla fronte secondo la tradizione dei Chackra!
Quali sono i tuoi prossimi progetti letterari? Prevedi di proseguire con questo affascinante filone o di cimentarti in qualcosa di diverso?
Un nuovo episodio della saga del Suono Sacro di Arjiam con nuovi personaggi, nuove terre, popoli scomparsi e culti dimenticati. Il centro dell’azione non sarà più solo il regno di Arjiam ma anche il regno dei millenari nemici: Bahvjimaar. Cosa nascerà dall’incontro? O sarà uno scontro? Chissà!
Parlare con te, Daniela, è meraviglioso! Sei riuscita a proiettarci con grande passione in mondi molto diversi tra di loro, ma tutti estremamente interessanti. Sei una persona davvero speciale e noi di “Ophelia’s friends” ti auguriamo di cuore di ottenere sempre più successo in ciò che fai, perché davvero te lo meriti.
Grazie ancora Daniela!
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