di Pierfranco Bruni
Le fasi ovidiane hanno caratterizzato non soltanto l’opera e la vita di Publio Ovidio Nasone, ma hanno influito sulla letteratura che si è intrecciata tra un modello greco e un modello mediterraneo, latino. La grecità è stata sempre uno scavo profondo nell’opera di Ovidio, ma anche nella sua vita e nel suo concepire la vita, e dentro questa visione ovidiana la figura di Saffo è stata fondamentale.
Saffo ha vissuto il suo esilio in una dissolvenza che è stata la dissolvenza tra una geografia dell’amore e una geografia in cui l’esistenza è stata attraversata dall’amore; ovvero, l’amore come principio e l’amore come definizione di una vita e Saffo è dentro il percorso ovidiano. Chiaramente con Saffo ci troviamo di fronte ad un amore omosessuale. Un amore in cui l’estetica del rapporto diventa anche una particolarità di un legame prettamente metafisico e carnale, perché dire che è stato soltanto carnale, in Saffo, non è pensabile.
In Ovidio c’è questa “Ars amatoria” che diventa poi un rimedio per l’amore. Tutto questo porta Ovidio a riflettere sulle altre opere, le opere successive, fino a toccare le “Metamorfosi” che diventa lo spartiacque non soltanto da un punto di vista storiografico, critico e letterario, ma anche dal punto di vista esistenziale. Non dobbiamo dimenticare che le “Metamorfosi” escono proprio nel momento in cui Ovidio viene mandato in esilio. Nelle “Metamorfosi” c’è il superamento della storia e il sopravvento del mito, ma c’è anche un altro elemento importante che, dall’impero augusteo e dalla visione del contributo del mecenatismo, è stato considerato come la vera rottura con l’Occidente romano e con il sopravvento dell’eredità e dell’identità culturale greca, ellenica.
Ritengo che sia qui il punto nevralgico per poter capire come Ovidio non sia stato mandato in esilio nel momento in cui scrive tutto il suo percorso dell’Ars amatoria (cosa che interessava poco alla corte augustea) bensì nel momento in cui si va a toccare il punto nevralgico di una civiltà, di una tradizione, quale è appunto il mito che dalla cultura latina passa, con le “Metamorfosi”, a una visione prettamente greca. E’ in questa fase precisa che avviene la rottura con Ovidio.
Credo che l’esilio ovidiano sia stato un esilio dettato da una disubbidienza da un punto di vista storico, politico e culturale. Con Ovidio non c’è più il sopravvento del mito catulliano, tibulliano, e soprattutto virgiliano, ma c’è un’autonomia interpretativa del mito e riaffiora il modello prettamente greco. Questo era inconcepibile per la cultura augustea, per il potere culturale augusteo, e quindi latino, mediterraneo, occidentale latino.
Le opere post “Metamorfosi” delineano, in fondo, questa visione. A partire dall’8 dopo Cristo, Ovidio viene spedito in Romania sul Mar Nero. Qui, sulle sponde del Mar Nero, scrive “Tristia”, scrive “Le Epistole ex Ponto” ed “Ibis”.
Tre opere consistenti che fanno parte di una fase molto più matura rispetto alle prime “Ars amatorie,” alla prima “Ars amatoria”. Più matura nel senso che ha “assorbito” tutta questa tradizione e ritorna, con questi tre testi dell’esilio, a quella fase, a quel legame che supera anche i fasti di un libro prettamente antropologico, per recuperare le “Heroides”, cioè il dialogo tra il mito greco e quello latino, ovvero tra i personaggi greci e quelli latini. Credo che le difficoltà culturali nell’impero di Mecenate comincino già con gli “Heroides”, perché far parlare Penelope ed Ulisse non è cosa facile in quel contesto, come non lo è far parlare Didone con Enea in un atto sostanzialmente d’accusa, come non è cosa facile accettare una lettera di Saffo.
Tutti questi elementi sono dentro gli “Heroides” e credo che prenda avvio proprio dagli “Heroides” la rottura con l’Impero di Augusto, fortificata in seguito con le “Metamorfosi”.
Nell’esilio di Ovidio si ascoltano non soltanto le tristezze, le malinconie, ma si ascoltano anche le “invettive” contro uno stato di potere, contro i cosiddetti poteri “forti” di quel tempo e non bastano le lamentele, non bastano le richieste della moglie per farlo ritornare, o degli amici, ormai è deciso: «Ovidio non esiste più. Ovidio è stato relegato. Non vogliamo più sentir parlare di Ovidio».
Questo è un discorso molto forte, molto sentito a quel tempo, tant’è che anche alla morte di Augusto, quando subentra Tiberio, nulla si può. Perfino Tiberio lascia morire in esilio Ovidio. La questione dell’esilio è una questione che diventa complicata da un punto di vista esistenziale.
Non interessa più l’Ovidio letterario, l’Ovidio dei fasti in cui si celebrava la Roma latina, se vogliamo, anche in una visione etnoantropologica. Non interessa più, come non hanno interessato nei primi anni tutte le opere degli “Ars amatoria”, dei “Remedia”. Sono stati toccati dei gangli vitali del potere augusteo. Ecco perché Ovidio viene spedito in esilio. Ecco perché lo si lascia morire a Tomi nell’attuale Costanza. Ecco perché per molti anni Ovidio deve essere dimenticato.
Questo è il dato centrale di quel contesto e di quella temperie.
Venerdì 11 agosto presso il Museo Archeologico di Taranto si terrà l’interessante iniziativa dal titolo “MArTA by Night” promossa dal Ministero dei Beni Culturali. A partire dalla ore 20 fino alle ore 23 si susseguiranno una serie di eventi di grande importanza storico-culturale. Di particolare rilievo sarà la conferenza tenuta da Pierfranco Bruni avente come tematica “L’ESILIO DI OVIDIO” nel corso della quale verrà affrontato il delicato tema dell’esilio politico e ideologico di uno tra i più importanti poeti latini che venne osteggiato a causa di un suo ritorno alla liricità e al mito dell’antica Grecia. https://stefaniaromito67.wordpress.com/marta-by-night/