di Annarita Miglietta*
Cent’anni di gratitudine. I Piovesana di Francenigo è un libro-documento in cui viene narrata la storia della famiglia Piovesana. Sono pagine dettagliate, righe composte dalla penna attenta di Fioravante Piovesana, che ha raccontato ed illustrato le esperienze, il vissuto della sua casata, tra passato e presente, senza tralasciare uno sguardo verso il futuro, verso le giovanissime generazioni.
Un volume importante di cent’anni di storia vissuta dalle famiglie “nate da Fioravante di Pietro Piovesana e Olga di Antonio Busetto, persone che vissero tra la fine del 1800 e l’inizio del 2000”. La portata dell’opera si evince sin dal titolo e dall’elegante copertina, in cui vengono rappresentate, sul fronte, l’albero genealogico dei Piovesana a partire dal 1600 e, sul retro, la pianta seicentesca del territorio di Gaiarine, in cui ricade Francenigo, luogo d’origine della famiglia, “il piccolo mondo antico [..], piccola pieve sulla riva della Livenza, attraversata dal suo affluente rio Aralt” (p. 14). Il libro, “album delle radici” come lo definisce l’autore, è articolato nei primi capitoli: Prefazione; L’idea: tre coincidenze; 1. Francenigo: piccolo mondo antico; 2. Le radici de nostro albero: Pietro Piovesana e Anna Palù detta Neta; e nei sette dedicati ai rami delle famiglie, presentati attraverso un’accurata narrazione e ciascuno concluso con un paragrafo dal titolo Presente e futuro in cui l’autore presenta gli ultimi rami della famiglia con gli ultimi nati.
Il volume è arricchito da un importante supplemento in cui sono raccolti alcuni Atti di matrimonio, messi insieme grazie alla collaborazione di parroci, di uffici comunali, oltre che di amici e di conoscenti.
Il valore della narrazione di questo bel libro risiede nella co-occorrenza ed intreccio di eventi che hanno caratterizzato ed impresso non solo la vita di intere generazioni, ma la storia di una comunità, che nella sua individuale specificità diventa coralità partecipata di un Paese, l’Italia. Una famiglia solida, impegnata, sorretta da profondi ideali, caratterizzata da un forte senso del dovere, raccontata a partire dallo scoppio della Prima guerra mondiale, che con le sue atrocità aveva inferto dolorose perdite anche ai Piovesana.
Il contenuto dell’opera s’intuisce sin dalle prime pagine dedicate alla bella figura, a sinistra, della centenaria zia Ofelia “che incarnava con fierezza ed orgoglio” la storia della famiglia e, a destra, alla casa dei Sonego, sulla cui facciata si può ammirare la meridiana, quel disegno che, come scrive l’autore “noi bambini, tra un “pirol parol” e l’altro, sbirciavamo con curiosità […] sul muro, senza capire come mail il sole, schermato da un ombrellino metallico, potesse ritmare le ore e le giornate dei contadini” (p. 8). Due pilastri, due icone, fulcri, motori dai quali prende l’avvio la serie di ricordi che avanzano tra fatti, vicende, aneddoti ai quali fa da sfondo un’Italia tra le due guerre, lacerata da lutti, miseria ed emigrazione verso terre molto lontane, l’Australia e l’America. Prove di esistenza e di sopravvivenza che hanno messo in ginocchio il Paese intero e alle quali i Piovesana hanno risposto con energia, vigore e determinazione, riuscendo a cambiare il verso degli accadimenti, sapendo trarre dalle sventure vere e proprie fortune, senza mai perdersi di coraggio, ma affrontando con grande forza d’animo ogni avversità. Tanti sono gli esempi d’impegno e di operosità che portano ad esperienze di lavoro nei campi, nelle fabbriche, e che sfociano ben presto in impegno sociale, come quello di Nella (del ramo bolognese) “donna sveglia, curiosa e dirompente nella sua generosità, [in cui s’individuano] le radici di quel filone culturale e socialmente impegnato” (p. 41) che si trasmetterà nelle generazioni future, nutrite di valori e principi che saranno linfa vitale che consentirà loro di affermarsi professionalmente, con successo impareggiabile. Donne sole che, in epoche ancora poco mature per parlare di emancipazione, precorrono i tempi, rappresentano e scrivono la storia della propria famiglia, da protagoniste, sempre in prima linea. “Vedove coraggiose” come Olga (del ramo antico) che dopo la perdita del marito, Fioravante, morto a guerra finita, perché aveva contratto la febbre spagnola nella caserma di Parma, “prenderà in mano con autorevolezza le redini della famiglia e dimostrerà la sua grandezza di madre e il suo spessore di donna che sa affrontare le sfide della vita con dignità e determinazione una situazione di questo genere” (p. 34). Vicende di una famiglia raccontate per il tramite della generosità e della solidarietà ineguagliabili, corroborate da una profonda fede, che connota, alimentandola, un’esistenza all’insegna della spiritualità e della cultura. Una cultura a volte senza titoli, ma tanto robusta e solida. È quella incarnata da Olghetta, che “esprime la sua “fame di scuola e di cultura”” in una lettera (riportata integralmente nel libro), indirizzata al Preside del liceo scientifico di Conegliano, nel luglio del 1976, in occasione della fine degli studi superiori del figlio Graziano Carnelos (oggi avvocato). Nelle parole di riconoscenza per l’operato svolto dalla scuola per la formazione culturale del figlio, Olghetta loda il lavoro dei docenti e dell’istituzione tutta, che definisce “benemerita”. Da madre premurosa e attenta al futuro dei giovani scrive, tra l’altro, che se le forme di gratitudine verso l’impegno profuso dagli insegnanti venissero manifestate, con “serena obbiettiva critica”, anche da parte delle famiglie, gli studenti sarebbero portati ad apprezzare di più la scuola ed “il tempo che trascorreranno sui banchi di scuola sarà di grande vantaggio per loro e per la società” (p. 103). Riflessione, questa, profonda e di eccezionale attualità, che sembra anticipare, sintetizzandoli, i principi dei patti educativi di corresponsabilità scuola-famiglia.
Il libro, testimonianza di uno spaccato di storia, di un insieme di ricordi, di memorie e di riflessioni, suona come modello di realtà, di esperienze, dispiegandosi in un susseguirsi di eventi, rivissuti con rigore e nitidezza. Le descrizioni precise e ricche di particolari delineano le figure dei componenti dei rami della casata Piovesana, che sembrano abitare le pagine scritte con tratti così vividi che al lettore pare quasi di averli conosciuti, incontrati. Le rappresentazioni si fanno ancora più chiare, dai contorni più precisi, grazie anche al corredo fotografico che arricchisce il volume.
L’opera dedicata ai Piovesana può ben essere sintetizzata con le ultime righe che l’autore scrive nel suo congedo: “Cent’anni di gratitudine ci offre l’occasione [..] per esprimere gratitudine a chi, prima di noi, ha tessuto un ordito di storia e di vita sul quale poggiare le nostre esistenze” (p. 139). E, aggiungerei, i ringraziamenti dovrebbero provenire da più parti, farsi “virali”, perché la storia di una famiglia, quella dei Piovesana, è maestra di vita e modello per tutti quelli che abbiano voglia di imparare a leggerla per trarne insegnamenti.
*Università del Salento