di STEFANIA ROMITO
Ciao Angela, tu sei una giornalista pubblicista, web content editor e traduttrice freelance, ma sei anche appassionata di scrittura in versi. Nel 2014 pubblichi la tua prima silloge dal titolo Voci dall’iperuranio. I tuoi componimenti sono stati inseriti in diverse antologie letterarie tra cui Parole d’amore di Giulio Perrone Editore. Parlaci di questa grande passione nei confronti della scrittura in versi e in che cosa si differenzia dalla poesia.
Per me scrittura in versi è sinonimo di poesia, di espressione dell’anima attraverso un “codice” particolare, costituito da varie componenti come possono essere la musicalità, il ritmo, le metafore. Sembrerà strano ma io non nasco come poetessa, la mia prima passione è quella del disegno. La poesia è arrivata dopo, negli anni dell’adolescenza, ma in lei ho scoperto un linguaggio affine al mio sentire. A risvegliare in me questa passione è stato soprattutto l’incontro con Dante tra i banchi di scuola. Ho iniziato a buttare giù qualche verso per esternare le mie emozioni, poi ho capito che in me esisteva un’urgenza quasi primordiale non solo di comporre liriche, ma anche di confrontarmi con i grandi del passato. Una fame che mi ha portato a “divorare” poeti come Dante in primis, ma anche Petrarca, Shakespeare, Keats, Coleridge, Neruda, Borges, T.S. Eliot, Alda Merini, Wislawa Szymborska… Maestri inarrivabili, ai quali sarò sempre grata.
Nel 2010 partecipi ad un progetto poetico di beneficenza per le popolazioni di Haiti colpite dal terremoto. Ce ne vuoi parlare?
L’iniziativa è stata lanciata dalla poetessa barese Santa Vetturi per raccogliere fondi in favore delle popolazioni di Haiti duramente colpite dal terremoto. Santa ha raccolto le opere di 34 scrittori e artisti pugliesi nell’antologia “Haiti chiama Bari”, un progetto al quale ho partecipato con convinzione, un’esperienza che rifarei.
Sei una grande appassionata di arte rinascimentale. La tua ricerca artistica e letteraria si concentra principalmente su due grandi personaggi: Sandro Botticelli e Dante Alighieri. Tra l’altro hai da poco tenuto una conferenza presso il Consiglio Regionale della Toscana dedicata proprio a questi due grandi personaggi. A tuo parere, ritieni esserci aspetti che li accomunano?
Certamente. La loro affinità sta nel fatto che questi due pilastri della cultura universale hanno saputo, con i loro linguaggi differenti ma complementari, dare voce all’inesprimibile e dare forma all’invisibile: in poche parole, rappresentare l’infinito. Un paradosso, se vogliamo, perché cosa c’è di più indefinibile dell’infinito? Eppure le loro opere, in arte e in poesia, riflettono una comune aspirazione al trascendente, uno slancio verso ciò che oltrepassa i limiti umani. Per Sandro Botticelli, in particolare, sto portando avanti varie iniziative. Attualmente è in corso una raccolta firme rivolta al Comune di Firenze per intitolare una targa commemorativa all’artista. Sembra assurdo, ma a distanza di oltre 500 anni non esiste nessun tipo di monumento che ricordi il grande pittore nella sua città. Eppure c’è bisogno di un omaggio doveroso a un genio che ci ha donato così tanti capolavori. Aderire alla petizione è molto semplice: basta cliccare sull’apposito link e mettere la propria firma.
E ora veniamo alla tua silloge dal titolo Voci dall’Iperuranio. Un lavoro poetico davvero molto interessante in cui la metafisica si va ad intrecciare alla filosofia. E’ giusto affermare questo?
Sì, diciamo che questo lavoro nasce da una lunga ricerca personale, in cui ho dovuto “scavare” dentro me stessa per estrarre contenuti che aspettavano solo di venire alla luce. In realtà molte poesie le ho scritte quando andavo ancora a scuola, quindi c’è una me acerba ma già consapevole di dover intraprendere un determinato percorso. Altre, scritte intorno ai 25 anni, hanno tematiche più complesse, come quella dell’Ardhanarishvara, un concetto induista che indica l’unione di Shiva e Shakti, la fusione tra principio maschile e femminile: in poche parole, l’androgino. Utilizzo questo concetto per parlare della condizione femminile nei secoli. La donna è passata da uno stato di subordinazione a una presunta “parità” raggiunta almeno nella società occidentale, in cui c’è però ancora molto da lavorare. Per dirla con Jung, se la donna non temerà di integrare in sé il proprio Animus, il lato maschile, e l’uomo accetterà la propria Anima, la componente femminile, ci potrà essere complicità, collaborazione e rispetto sincero nel nome dell’Amore consapevole.
Le protagoniste sono le “voci” generate da un silenzio contemplante, che potremmo definire spirituale. Voci che abitano la parte più recondita della nostra anima, la nostra vera essenza. Non è così?
Le “Voci dall’Iperuranio” a cui questa silloge fa riferimento provengono da molti luoghi, spesso distanti nel tempo e nello spazio: dal fruscio delle pagine di un libro a una conversazione illuminante, dall’espressività degli occhi di un animale alla meravigliosa complessità della persona amata. Tutte le voci, però, hanno un’unica sorgente: il silenzio. Ed è a questo che rimanda il titolo, a quel mondo platonico delle Idee dove ogni cosa è incorrotta e non ha ancora un nome, rimane pura nella sua essenza perché forse non sa nemmeno di esistere.
In questa opera hai contemplato diverse ambientazioni metafisiche alle quali hai attribuito denominazioni che rimandano ai quattro elementi (Aria terrena, Acqua infuocata, Terra umida e Fuoco etereo). Ti va di spiegarci cosa rappresenta ciascuno di questi ambiti?
L’opera è suddivisa in quattro parti, che rispecchiano fusioni creative tra i quattro elementi: Aria terrena indica il gusto dell’improvvisazione, dell’immaginazione introspettiva, della riflessione a volte scanzonata e anticonformista; Acqua infuocata rispecchia moti dell’animo e sensazioni pervase da un’ardente inquietudine; Terra umida riflette malinconia e caducità impregnate di ricettività dell’anima; Fuoco etereo è il puro anelito di passione spirituale e/o carnale.
Un viaggio attraverso la nostra interiorità, alla ricerca della nostra intima essenza, nella contemplazione di tutto ciò che ci circonda al fine di individuare il legame che intercorre tra il senso immanente e trascendente della nostra esistenza. Ti va di spiegarci questo concetto?
Questa raccolta di poesie si può leggere come si vuole: come un poema composto da quattro cantiche, come un’opera in quattro atti, come un amalgama indifferenziato di versi ai quali l’autrice ha osato conferire delle categorie (pur sapendo che le classificazioni, di ogni genere, esistono solo nella nostra mente, e spesso si rivelano dannose). È un percorso dell’anima, del cuore, dei sensi e della mente, un attraversare il mondo esteriore con lo sguardo rivolto verso l’interiorità. E se c’è un unico filo conduttore, un filo di Arianna che sbrogli l’intricato labirinto ermetico, questo è semplicemente la ricerca creativa del punto di contatto tra immanente e trascendente.
Stai già pensando a un tuo prossimo progetto poetico-letterario?
In realtà avrei già due sillogi nel cassetto: la prima comprende liriche scritte nella mia adolescenza, quando muovevo i primi passi nel mondo della poesia, la seconda include opere più recenti, che sento molto mie. In realtà ci sarebbe spazio per almeno altre due sillogi… Non sono mai stata così prolifica in vita mia. Solo negli ultimi tre anni ho scritto quasi 200 poesie! In cantiere ho anche alcuni racconti ispirati a tematiche molto speciali, che ruotano sempre intorno alla spiritualità, al mistero e ai sentimenti. Con il mondo dell’arte a fare da sfondo.
Ti ringraziamo, Angela, per averci donato attimi di grande intensità con questa intervista. Noi siamo sempre soliti affermare che la letteratura, la poesia, la filosofia sono la rappresentazione scritta della nostra esistenza, strumenti privilegiati per conoscere la nostra intima essenza. Quindi grazie ancora per averci ricordato tutto questo.